BRASIMONE (Bologna), 18 APRILE 2014 - IN QUELL’UFFICIO chi ci lavora? Nessuno, è vuoto. E quello accanto? Lo stesso. Capirai, c’è posto per 250 persone, ma i dipendenti sono 110. Centro Enea del Brasimone, una volta era il cantiere del reattore nucleare Pec. Incastonato in una gola, sul lago artificiale, persino poetico, con il cupolone di 52 metri che doveva essere pronto a parare incidenti paurosi e invece è diventato più modestamente soggetto da cartolina. Una storia maledetta, dall’inizio. Quando negli anni Sessanta si partì per realizzare il reattore Pro e si andò a sbattere nel processo Ippolito. L’avventura del Pec partì nel ’72. Nell’86 arrivò Chernobyl, l’anno dopo il referendum abrogativo del nucleare. La cittadella del Brasimone era quasi pronta, il reattore da montare. Più di mille persone all’opera, tutto da buttare via. Quanti miliardi? Nessuno lo sa. Di sicuro molte tonnellate di ferro (e intelligenza). A un certo punto pareva un discount, sono arrivati anche i cinesi a comprarsi le finestre, i vetri erano a prova di radiazioni.


E OGGI? Che senso ha il Brasimone in un Paese che da 27 anni ha rinunciato al nucleare? «Che c’entra? L’Italia non ha abbandonato la ricerca», corregge Pietro Agostini, l’ingegnere che dirige 70 ricercatori «ma dovrebbero essere il doppio». Per fare che cosa? «Lavoriamo sul nuovo nucleare — chiarisce —, fusione e fissione di quarta generazione, cioé sostenibile. Se giochiamo a tennis? No, non c’è neanche il campo».


GUARDANDOSI attorno: 412 ettari, la proprietà è dell’Enea. Uffici per 250 dipendenti, bagni per 400 persone, stazione meteo e area di addestramento per le spedizioni in Antartide. Un paese nel paese, a Camugnano. Comune affezionato. L’Enea ogni anno paga qualcosa come «90mila euro di Ici, cito a memoria», fa sapere il direttore Francesco Filotto uscendo dal suo ufficio di Villa Ruggeri, sede di rappresentanza. Cittadella indipendente, il centro. Un potabilizzatore, tre reti idriche, due depuratori, sottostazioni elettriche e 600mila euro all’anno di bollette. Al Brasimone nessuno lo dice ma tutti pensano che i dipendenti Enea in affitto a Bologna si dovrebbero trasferire quassù. All’Arcoveggio, sede protetta dal filo spinato — residuo del tempo che fu — la sola domanda provoca allergia. E nessuno, da Bologna a Roma, risponde a un quesito banale: ma quanto pagate d’affitto? Nel frattempo Agostini e i suoi vanno in mezzo mondo, anche in Romania, a costruire reattori. Non è frustrante? «No, il vero dramma sarebbe un altro. Che l’Europa lasciasse campo libero solo alla Cina».