Washington, 26 aprile 2014 - "WOJTYLA? — mi chiesero dall’Italia — e chi è? Era la sera del 16 ottobre 1978. Poco prima dal balcone famoso su piazza San Pietro a Roma era stato dato l’annuncio di rito: Habemus Papam. Ed era stato indicato nella persona di Karolum (Karol) Wojtyla, cardinale di Cracovia. Mai sentito, confessai. E mi precipitai all’ambasciata polacca a chiedere il visto. Volevo scoprire chi fosse, cosa avesse fatto e — soprattutto — perché il Conclave eleggendo un Papa non italiano, il primo dopo 455 anni, e essendo andato a pescarlo oltrecortina, nel cuore del blocco sovietico, avesse scelto il numero due della Chiesa polacca, Wojtyla appunto, e non il numero uno, il cardinale Wischinski.

ALL’EPOCA ero corrispondente da Bonn e dunque geograficamente il più vicino alla Polonia. Ebbi il visto a tempo di record e il giorno dopo mi imbarcai per Berlino. Passai il muro di notte in corrispondenza dell’aeroporto Schoenefeld nella mezza Berlino comunista. Presi un Tupolev per Varsavia. E da Varsavia su un traballante bimotore Antonov raggiunsi Cracovia. Avevo un indirizzo, quello del direttore della rivista Tygodnik Powszechny, la rivista della Curia. Ci andai. Mi aprì una signora con i capelli bianchi. Mio marito è a Roma con il Papa, mi disse. Ma mi fece entrare. Mi offrì un caffè in una cucina affumicata, come ne avevo visto tante nell’est europeo. Cominciammo a parlare.Fu così che mi feci una prima idea di questo campione di fede e di libertà. Nessuno immaginava che avrebbe cambiato la storia del mondo e sarebbe stato elevato alla gloria degli altari. Un uomo, prima ancora che un prete. Era stato operaio, attore teatrale, poeta. E anche innamorato. Poi la vocazione, il sacerdozio, la porpora cardinalizia.

IL SUO magistero, la predicazione, la fiera resistenza a un regime totalitario che nella cattolicissima Polonia non poteva comportarsi come in altri Paesi ‘fratelli’ senza provocare rivolte, ne avevano fatto un simbolo. La conferma l’ebbi la sera stessa. La grande piazza davanti alla sede arcivescovile era gremita di fedeli in ginocchio. Molti piangevano. Ne domandai il perché. Mi risposero: questo è l’inizio della nostra liberazione, è un miracolo della Provvidenza.
Più tardi, dalle conversazioni avute con esponenti della Chiesa cattolica tedesca, mi sarei reso conto che la Provvidenza aveva anche una spiegazione terrena. Sul prelato polacco erano confluiti i voti di una coalizione di cardinali europei promossa dal clero tedesco. Un capolavoro di diplomazia, il cui obiettivo di fondo era la riunificazione della Germania. La Polonia era infatti l’anello debole della catena. Se fosse saltato, l’intero blocco sovietico si sarebbe disgregato. E le due Germanie sarebbero fatalmente tornate a riunirsi. Che è quello che accadde.
Ma rimaneva un ultimo interrogativo: perché Wojtyla e non Wischinski? Anche al riguardo la risposta la ebbi qualche tempo dopo. Una fonte attendibile spiegò: Wischinski non poteva andare a Roma, doveva rimanere a Varsavia a dirigere la Chiesa polacca mentre Wojtyla creava le premesse per la dissoluzione dell’impero sopraffattore. Ecco perché quella sera in piazza San Pietro e nel mondo la gente si chiedeva: Wojtyla chi?

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