Città del Vaticano, 19 maggio 2014 - La "mancanza o la povertà di comunione" costituisce uno "scandalo", una "eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa". Papa Francesco ha aperto così il suo discorso d’apertura della 66ma assemblea generale della Cei. "Nulla giustifica la divisione, meglio cedere e rinunciare, disposti a volte a portare su di sé la prova dell’ingiustizia piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio".

Il pontefice ha denunciato con forza i vizi dell'ambiente ecclesiastico: "Il rodersi della gelosia, l'accecamento indotto dall'invidia, l'ambizione che genera correnti, consorterie e settarismi: 'quant'è vuoto - ha osservato - il cielo di chi è ossessionato da se stesso". E ha additato come un male il "ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quanti vorrebbero difendere l'unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa". Rispetto a queste tentazioni, ha spiegato il Papa, "proprio l'esperienza ecclesiale costituisce l'antidoto più efficace. Promana dall'unica Eucaristia, la cui forza di coesione genera fraternita', possibilità di accogliersi, perdonarsi e camminare insieme". Servono dunque alla Cei maggiori "partecipazione e collegialita", capacita' di "dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme".

Bergoglio ha fatto riferimento al dialogo tra San Pietro e Gesù nel Vangelo di Giovanni e citato il drammatico film di Vittorio De Sica, per sottolineare la responsabilità dei "pastori" nei confronti del "gregge" dei fedeli. "A noi guarda il popolo fedele: io ricordo un film, 'I bambini ci guardano', il popolo ci guarda, per essere aiutato a cogliere il disegno provvidenziale. La nostra missione è impegnativa: conoscere il Signore fino a dimorare in lui e prendere dimora nelle nostre chiese particolari fino a conoscerne i volti e i bisogni".

"La crisi che stiamo attraversando - ha rimarcato Papa Francesco - non è solo economica, ma culturale, morale e spirituale un’emergenza storica, che interpella la responsabilità sociale di tutti: come Chiesa aiutiamo a non cedere al catastrofismo e alla rassegnazione, sostenendo con ogni forma di solidarietà creativa la fatica di quanti con il lavoro si sentono privati persino della dignità".

Il pontefice, quindi, ha indicato quali devono essere le priorità della Chiesa: famiglia, vita, educazione, ma anche immigrati, disoccupati e precari. "Tra i luoghi in cui la vostra presenza mi sembra maggiormente significativa" - ha detto Bergoglio - c’è la "famiglia", "comunità domestica penalizzata" dalla attuale "cultura del provvisorio". Promuovete "la vita", dal "concepito all’anziano" e il "cammino educativo", ha proseguito il Papa, riecheggiando i tre valori che, durante la presidenza del cardinale Camillo Ruini, erano definiti non negoziabili, "e - ha proseguito - non trascurate di chinarvi come il samaritano su chi è ferito negli affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita".

Altro "spazio" in cui i vescovi devono essere presenti è la "sala d’attesa dei disoccupati, dei cassintegrati e dei precari", dove il "dramma di chi non sa come portare a casa pane si incontra con quello di chi non sa come portare avanti un’azienda", per cui è interpellata la "responsabilità sociale di tutti". Ancora, i vescovi devono calare la "scialuppa" nell’abbraccio accogliente agli immigrati: "Nessuno volga lo sguardo altrove".