Napoli, 28 maggio 2014 - Quasi due pizze su tre (63%) servite in Italia sono ottenute da un mix di farina, pomodoro, mozzarelle e olio provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori che hanno rinunciato del tutto ad andare in pizzeria (25%) o hanno ridotto le presenze (40%) rispetto a prima della crisi secondo l’indagine Ixè.

E’ quanto emerge dal dossier “La crisi nel piatto degli italiani nel 2014”, illustrato a Napoli dal presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo. Il rapporto analizza, per la prima volta, anche cosa c’è di diverso con la crisi nei piatti più rappresentativi della tradizione alimentare italiana.

Dal dossier si evidenzia che - ha sottolineato la Coldiretti - si è verificata una rivoluzione storica per la pasta registrando una produzione completa di grano italiano al 100% che è iniziata ed esplosa proprio negli anni della crisi. In Italia, sempre più spesso nelle pizzerie viene servito un prodotto preparato - ha sottolineato la Coldiretti - con mozzarelle ottenute non dal latte ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall’Est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo oppure olio di semi al posto dell’extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale.

Secondo il dossier, nel 2013, in Italia sono stati importati 481 milioni di chili d’olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarelle, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli Usa e 29 milioni dalla Cina e 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all’aumento del 20% nei primi due mesi del 2014. Una fiume di materia prima che - ha sottolineato la Coldiretti - ha, purtroppo, compromesso notevolmente l’originalità tricolore del prodotto servito nelle 50mila pizzerie presenti in Italia che generano un fatturato stimato di 10 miliardi, ma non offrono alcuna garanzia al consumatore sulla provenienza degli ingredienti utilizzati.

Se il 39% degli italiani ritiene che la pizza sia il simbolo culinario dell’Italia, la maggioranza del 45%, secondo un sondaggio del sito www.coldiretti.it, attribuisce il primato alla pasta la cui produzione, al contrario, ha fatto registrare una decisa svolta nazionalista con la nascita e la rapida proliferazione di marchi che garantiscono l’origine italiana del grano impiegato al 100%. Un percorso che è iniziato nei primi anni della crisi dal Consorzio Agrario di Siena con la pasta dei coltivatori toscani per estendersi poi ad alcune etichette della grande distribuzione fino ai marchi nuovi o storici più prestigiosi.

Lo stesso Guido Barilla, presidente della Spa alimentare ha annunciato ai 10mila agricoltori della Coldiretti giunti a Napoli, che lo storico marchio napoletano “Voiello”, che fa capo al Gruppo, venderà solo pasta fatta da grano italiano al 100% di varietà “aureo” coltivato in Abruzzo, Molise, Puglia e Campania che, per il contenuto proteico e la forza del glutine, può essere considerato il grano duro italiano d’alta qualità nel Sud.

“La produzione nazionale degli ingredienti e la sua lavorazione esclusivamente in Italia consente di salvare dall’abbandono interi territori situati in aree difficili nel Sud del Paese, ma anche di garantire occupazione e reddito ad agricoltori e lavoratori in un momento di crisi - ha affermato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo - per tornare a crescere, il Paese deve saper mettere in rete le sue straordinarie capacità imprenditoriali e le potenzialità dei territori, a cominciare da quelle inespresse del Mezzogiorno”.

Meno fortuna ha avuto il pane, il prodotto più presente sulle tavole degli italiani, poiché, accanto al pane artigianale venduto nei forni in Italia, si assiste - ha spiegato la Coldiretti - all’arrivo di milioni di chilogrammi di impasti semicotti, surgelati, con una durata di 24 mesi, grazie ad additivi e conservanti, provenienti dall’Est europeo, destinati ad essere poi cotti e diventare pane nelle strutture commerciali a basso costo. Un destino che colpisce anche i tradizionali sughi e il ragù italiano che, sempre più spesso, sono ottenuti da conserve di pomodoro provenienti dall’estero, miscelate con ingredienti e importati, dalle spezie dall’Oriente alla carne.