VAL D’ORCIA (Siena), 2 GIUGNO 2014 - L’INCOMPIUTA. Monumento sinistro allo spreco di soldi pubblici. Si erge, solitaria, in uno degli scorci più belli del Parco della Val d’Orcia, nella vallata sotto Contignano e il Monte Amiata. Natura che l’Unesco ha deciso di porre sotto il suo mantello protettivo. Operai e camion, trivelle che facevano tremare la terra nei poderi vicini, scomparvero da qui nel 1986, quasi 30 anni fa. I lavori per costruire la diga di San Piero in Campo cessarono e da allora il «dinosauro» di cemento è rimasto mummificato, divenendo un peso per la comunità. Costato venti miliardi delle vecchie lire, cifra mastodontica per l’epoca, era stato pensato per dissetare la Val d’Orcia e i centri vicini. Voluto fortemente dal Consorzio che portava il suo nome — e che annoverava i comuni di Montepulciano, Chianciano, Pienza, Castiglione d’Orcia, Radicofani e San Quirico — ipotizzava un invaso da 10,7 milioni di metri cubi d’acqua. Deve ancora essere ultimato, così come le condutture. I fondi statali all’epoca furono impiegati per gli espropri mentre quelli regionali per realizzare lo scheletro che tuttora sfregia il paesaggio e i calanchi a due passi dall’antichissima abbazia di San Piero in Campo.


«SONO stato a vedere i manufatti, venne impiegato materiale di qualità perché, nonostante i decenni, la struttura è in buone condizioni», conferma l’ex sindaco di Radicofani, Massimo Magrini. Che aveva provato a cambiare il Dna di quel mostro, ora affidato alla locale Unione dei Comuni Amiata Val d’Orcia, tracciando un percorso della salute che dalla frazione di Contignano scendeva per tre chilometri verso lo scolmatore di cemento. Furono sistemate attrezzature ginniche, ma non è mai decollato. Così i turisti che oggi si fermano a fotografare il paesaggio da cartolina guardano, senza capire perché si trova lì, quel cemento armato aggredito dal verde. «Eppure di un invaso in questa zona c’è grande bisogno, sia per l’agricoltura sia per le famiglie — dice Magrini —. Magari più piccolo, da 5 milioni di metri cubi. Potrebbe rappresentare un’opportunità anche per gli sport acquatici, riconvertendolo a livello turistico».


ASSESSORI regionali hanno fatto sopralluoghi, il caso è stato studiato dall’Università, alcuni paesaggisti hanno presentato un progetto che consisterebbe nel piantare lungo il perimetro dell’invaso semi di edera che, negli anni, prenderebbe il posto del cemento. Recentemente altri hanno pensato di usare lo scheletro per creare una sorta di auditorium a cielo aperto per gli spettacoli estivi. L’incompiuta, insomma, a 28 anni dallo stop ai lavori continua a far discutere. «Ho anche ipotizzato di emanare un bando d’interesse — spiega Roberto Rappuoli, che guidava l’Unione dei Comuni —, saranno i nuovi amministratori a valutare l’opportunità». Perché, al di là di aver messo in sicurezza l’area ricorrendo anche a un’inferriata per impedire l’accesso al ponte della torretta, «una diga che accolga l’acqua del fiume Orcia regimandola in maniera costante soprattutto l’estate, sarebbe preziosa per l’economia locale».


NESSUNO ha comunque la soluzione in tasca. Soprattutto a breve. La paura di mancare una seconda volta l’obiettivo, unitamente all’attuale carenza di risorse pubbliche, forse prevale. «Non la finiranno mai — sentenziano sfiduciati alcuni imprenditori della zona — e fa rabbia, osservando un tale scempio, pensare che solo per realizzare un fontino per abbeverare gli animali ci vuole tanto tempo che ti fanno passare la voglia».

di Laura Valdesi