di CRISTINA RUFFINI

SONO relegati alla periferia della città, in via Bulgaria, da 18 anni. I quasi centomila volumi della storica biblioteca Chelliana di Grosseto — che ha preso il nome dal suo fondatore, il sacerdote Giovanni Chelli e che ha avuto tra i direttori anche il famoso scrittore Luciano Bianciardi — non occupano più il prestigioso palazzo Mensini da troppo tempo.
Dal 1996 quando fu deciso il trasferimento per problemi strutturali dello stabile di via Mazzini, che ha anche ospitato il liceo classico. Da allora si sono susseguite proposte su proposte per ridare vita a un centro culturale importante nel cuore della città, ma poco è stato fatto in concreto. E di quel poco molto è già andato in malora. Una storia che sa di burocrazia, d’Italia, ma soprattutto di scarsa attenzione alla cultura.

NON SOLTANTO come luogo dove crescere e aggiornarsi, ma anche come centro di aggregazione per i giovani: ridare vita a una biblioteca nel centro storico significherebbe, probabilmente, rivitalizzare e arricchire anche quest’ultimo. E Grosseto ne ha un bisogno estremo. Tornando alla Chelliana, dopo 73 anni di convivenza con palazzo Mensini, la sede che più a lungo ha ospitato il sapere e i «tesori» del capoluogo maremmano, nel 1996 viene deciso il trasferimento in un immobile per il cui affitto l’amministrazione comunale sborsa ogni anno circa 100 mila euro. Nel 2000, dopo verifiche strutturali e prove di carico, si inizia a pensare a un progetto di consolidamento e recupero e nel 2002 viene coinvolto l’attuale progettista, l’architetto Roberto Aureli che nel 2007 presenta la proposta definitiva per recuperare 3.600 metri quadrati e riportare il sapere tra le mura del centro storico. Per una spesa complessiva cinque milioni e mezzo.
Un progetto corposo anche per il peso delle carte. «Quando l’ho completato — racconta Aureli — considerando che era voluminoso ho deciso di pesarlo: tra relazioni ed elaborati (ben 54 tavole) ho consegnato qualcosa come sette chili e 800 grammi».

LA SPERANZA si riaccende nel 2008 quando iniziano i lavori di consolidamento, con la sistemazione di 108 plinti e poco dopo la realizzazione della parte impiantistica, compresa la climatizzazione al costo di 750 mila euro spesi e andati già in malora. All’inizio del 2009, infatti, viene scoperta la razzìa di centraline, materiale elettrico e caldaie che probabilmente si è consumata nel tempo, considerando che con uno spintone era possibile aprire la porta d’ingresso. Da allora la situazione può essere soltanto peggiorata. Ma l’architetto Aureli non dispera. «Il Comune sta organizzando i lavori per il rifacimento del tetto — spiega — I grandi viaggi iniziano dalle piccole cose». E la speranza è sempre l’ultima a morire.