di Gabriele Moroni

Bergamo, 26 giugno 2014 - «POSSO spiegare tutto. Posso spiegare perché il mio Dna è stato trovato sul corpo di Yara». Anche se ogni tanto scoppia in pianto, Massimo Giuseppe Bossetti si mostra sicuro e trasmette la sua sicurezza anche agli avvocati. Il muratore di 43 anni accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio è lucido, presente: «D’accordo, il Dna su Yara è il mio. Non lo nego e non contesto, ma posso spiegare come è finito sugli indumenti di quella povera ragazzina».
I difensori preparano la loro linea del Piave. Gli avvocati Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti, che ieri pomeriggio si sono incontrati per un lungo summit, stanno preparando il ricorso al tribunale del Riesame.

HANNO tempo fino a sabato per presentarlo, poi potrebbero anche ritirarlo ma intanto avrebbero avuto la possibilità di prendere visione dei faldoni degli atti. Stanno valutando anche la scelta dei consulenti. Un nome circolato ieri e non confermato è quello di Ezio Denti, criminologo di Varese. Ci sarà un genetista. Un altro esperto verrebbe nominato per essere presente al «backup forense» dei due personal computer sequestrati in casa dell’arrestato.

UN ASPETTO della linea difensiva potrebbe essere questo. Il codice genetico impresso sugli slip e i leggings della ginnasta tredicenne appartiene al muratore di Mapello. I difensori e il loro assistito non lo contestano, anche se ricorreranno a una consulenza di parte. Il punto sarebbe un altro: le modalità con cui il codice genetico dell’arrestato è andato a imprimersi sugli indumenti della vittima. Il profilo è stato ricavato da tre minuscole macchioline di sangue. L’ipotesi è allora quello che Bossetti possa essersi ferito con uno dei suoi attrezzi di lavoro e che questo sia finito, per uno scambio, nelle mani di un’altra persona, il vero assassino di Yara. Oppure che l’attrezzo sia stato sottratto a Bossetti. Due anni fa il muratore si presentò ai carabinieri per denunciare la sparizione di alcuni attrezzi (fra cui una livella elettronica) lasciati sul suo furgone parcheggiato sotto casa. La denuncia è successiva alla morte di Yara e non avrebbe quindi alcuna valenza difensiva. Bossetti dovrebbe riuscire a dimostrare che prima di quel 26 novembre 2010 era rimasto vittima di un altro furto, mai denunciato.
Ieri mattina, al termine di un colloquio in carcere, l’avvocato Silvia Gazzetti ha voluto ribadire la non colpevolezza di Bossetti: «È provato ma sereno. Continua a professarsi innocente. Ha offerto una serie di elementi che insieme l’avvocato Salvagni stiamo prendendo in esame».

AGLI ACCERTAMENTI sui due pc e i dieci telefonini sequestrati, si affianca quella che gli agenti della Squadra mobile della questura di Bergamo stanno conducendo sul suo autocarro Iveco Daily. Si sta cercando di ricostruire la «storia» dell’automezzo, se non ha cambiato aspetto o se invece, da quel 26 novembre a oggi, sono state apportate delle modifiche. L’immagine sbiadita di un mezzo all’apparenza simile è stata fissata da una delle telecamere di Brembate di Sopra la sera della sparizione di Yara. Il confronto sarà importante.