di GABRIELE MORONI

IL MURATORE: "SCARCERATEMI"

BERGAMO, 29 GIUGNO 2014 - IL DNA come prova regina, pietra fondante del castello accusatorio. Attorno alla galassia ancora indefinita degli indizi. Massimo Giuseppe Bossetti sta per superare la seconda settimana di carcere.
Domenica 15 giugno. Gli inquirenti possiedono due certezze, una ormai remota, la seconda più recente ma ugualmente consolidata. Giuseppe Benedetto Guerinoni, autista di pullman morto nel 1999, è il padre di «Ignoto 1», l’uomo che ha impresso il suo profilo genetico sugli slip e i leggings di Yara Gambirasio. La madre è Ester Arzuffi, 67 anni, legata a Guerinoni da una relazione extraconiugale per entrambi. Il 28 ottobre 1970, all’ospedale di Clusone, la donna ha dato alla luce due gemelli, Massimo Giuseppe e Laura Letizia.

DOMENICA 15 giugno è il giorno della svolta. Massimo Bossetti viene fermato con il pretesto del controllo con l’etilometro. Il boccaglio con la saliva parte per i laboratori dell’Università di Pavia. È una lunga notte. La comparazione fra quello di «Ignoto 1» e il profilo biologico ricavato dal boccaglio evidenzia, scrive il gip Vincenza Maccora nell’ordinanza di custodia, «una piena compatibilità di caratteristiche genetiche per 21 marcatori». Lunedì 16 giugno, le cinque del pomeriggio. Un incredulo Massimo Giuseppe Bossetti viene bloccato in un cantiere di Seriate. Dna e non solo. Due circostanze accusatorie.
I materiali edili. Bossetti è muratore. Su alcuni indumenti e a livello dell’albero bronchiale della vittima sono state riscontrate «polveri riconducibii a calce». Polveri che sono assenti nei luoghi abitualmente frequentati da Yara: la casa, il centro sportivo di Brembate Sopra, la piscina. E non si trovano neppure nello sterrato di Chignolo.

IL CELLULARE. Quello abitualmente in uso a Bossetti (ne possiede ben dieci) alle 17.45 del 26 novembre 2010 (Yara sparisce verso le 19) aggancia la cella di via Natta a Mapello. La stessa cella viene agganciata dal telefonino di Yara quando, alle 18.49, riceve l’sms di un’amica. Quindi, almeno fino alle 17.45, Bossetti era nella zona in cui si trovava Yara. Alle 18.10 del 19 giugno il gip Maccora firma l’ordinanza che trattiene in carcere l’artigiano di Mapello.
L’epilogo delle indagini è ancora lontano. C’è una costellazione di indizi, situazioni, racconti, sussurri, stranezze, interrogativi. La lista dei testimoni da risentire è folta. Una domanda: Bossetti aveva puntato Yara o a governare il loro tragico incontro fu la casualità? Natan, uno dei fratellini di Yara ha riferito che la sorella aveva paura «di un signore in macchina che andava piano e la guardava male quando lei andava in palestra e tornava a casa». «Aveva una barbetta come fosse appena tagliata» e guidava una «macchina grigia lunga». Bosetti portava il pizzetto, possiede una Volvo V40 di colore grigio, fisicamente è l’opposto dell’uomo «cicciottello» descritto da Natan Gambirasio.
Ancora nella galassia dell’indefinito. La notte di quel 26 novembre il cellulare di Bossetti rimane muto fino alle 7.45. Non rientrava nelle sue abitudini. È stato accertato che negli ultimi tempi il telefonino è stato spento per la notte solo quattro volte.

IL MURATORE ha raccontato che la sera del 26 novembre 2010 la sua attenzione fu attratta dalle parabole delle televisioni nei pressi della palestra di Brembate. Le televisioni arrivarono solo giorni dopo. Il fantasma del furgone bianco. Il 26 novembre le telecamere di Brembate fissano un furgone biancastro. Per il suo lavoro Bossetti impiega non un furgone ma un camioncino con targa CHV605NZ. È verdino e ha come tratto distintivo un cassone dietro la cabina di guida. Con il mezzo ripreso dalle telecamere ha in comune due bande rosse sulle sponde. Le domande. Molte. Una: Giovanni Bossetti, il padre solo anagrafico dell’arrestato, ha riferito nella sua testimonianza che il 26 febbraio 2011, quando Yara venne ritrovata, il figlio telefonò da Chignolo d’Isola alla madre Ester, la mise al corrente dell’accaduto e le chiese di raggiungerlo. Perché?