Roma, 21 aprile 2011 - “Alcuni miei colleghi hanno inventato. Hanno raccontato un'altra situazione, un'altra emergenza. Perché? Sono stati pigri. Oppure superficiali. Oppure peggio. Qualcuno ha davvero inventato. C'è un sito Usa che raccoglie tutte le "perle" della stampa italiana. Eccolo. Vattelo a leggere, scoprirai una serie davvero imbarazzante di "bufale". E non parliamo del Vernacoliere.... Tra i più gettonati, troverai Repubblica e Corriere. Una vera corsa alla bufala. Per fortuna che i giapponesi non leggono la stampa italiana e neanche tanto quella internazionale. E che Il fiero popolo giapponese è vivo e vegeto. Altrochè in ginocchio. Si è già rialzato.”

La prima immagine di Pio d'Emilia, in collegamento dal Giappone per SkyTg24, ci mostra un uomo sospeso, con una metropoli alle spalle, il vento nei capelli. Il terremoto di Sendai dell'11 marzo è roba di poche ore. Lui aveva però già raccontato l'essenziale. La sua storia da inviato è bellissima. Una missione solitaria, come in un film di Peckinpah o Melville. Nessuna consapevolezza però di una fine certa, no no: Pio ha fatto tutto nella piena consapevolezza di non correre dei rischi. Le parole chiave: Fukushima, mascherina, sievert, iPhone.

Proprio con un iPhone la prima scossa è arrivata in Italia: “Ero in moto – ci racconta d'Emilia. Rientravo a casa dopo pranzo. Sono un amante della buona tavola, non è un segreto. E' uno dei motivi per cui ho scelto di vivere a Tokyo, la capitale mondiale del gusto. La moto ha cominciato a oscillare. Ho pensato: forse ho bevuto un po' troppo. Invece no. Era una sensazione strana: un terremoto in Giappone ha un movimento oscillatorio, non sussultorio. Si muoveva tutto attorno a me. Quando mi sono fermato e ho alzato la testa per capire sono rimasto senza parole. Ho avuto la prontezza del giornalista: con l'iPhone mi sono collegato su Skype e ho chiamato la redazione: 'Mettetemi in diretta!', ho gridato. Loro sono stati veloci. E avete visto tutto. Ho fatto il mio dovere”.

Pio d'Emilia ha 58 anni, 6 figli e una storia da libro d'avventura. Come è iniziata la tua esperienza giapponese?
“Nel 1979, dopo essermi laureato in giurisprudenza, me ne parto per il Giappone dopo aver vinto un dottorato a Tokyo. Presi il treno, tagliai in due l'Asia. Fu un viaggio mitico, con me viaggiarono due giapponesi: uno di loro, pensa un po', è diventato un alto dirigente Mitsubishi. Una volta arrivato lì mi occupo della ragione del mio viaggio: devo approfondire la situazione dei diritti umani nel Sol Levante, in particolare, la loro rilevanza nell'ordinamento penale giapponese. In Italia mi ero laureato con una tesi sulla libertà personale dell'imputato. Scopro che il loro livello è basso, con grande stupore. Uno dei pochi difetti di una grande cultura”.

Quando hai cominciato a fare il giornalista?
“Lo studio sui diritti umani mi è valso una copertina sull'Espresso. Seguita da una storia che scoprii per caso. Scovai, in un'osteria locale, l'allora presidente dell'Alfa Romeo Ettore Massaccesi che trattava, in gran segreto, l'alleanza con la Nissan. Da lì ho iniziato la mia carriera. Collaboravo con loro, mi occupavo di estremo oriente. Appena divenuto giornalista professionista, venni assunto dal MESSAGGERO per il quale mi sono occupato della rivoluzione anti Marcos nelle Filippine. Fu un'esperienza splendida, con grandi soddisfazioni personali. Intanto mi ero acculturato per bene in Giappone. Ho lavorato all'Istituto italiano di cultura a Tokyo e anche quella fu una bella esperienza. Insomma, in quei posti mi sono ambientato benissimo”.

Ma come mai tutta questa passione per quell'angolo del mondo?
“Forse per mio padre. Lui era un professore, insegnava diritto bizantino e musulmano. Parlava 16 lingue, ma non il giapponese. Forse ho fatto tutto per una sorta di spirito di emulazione”.

E poi sei tornato in Italia?
“A metà anni '90 sono tornato a Roma. Lavoravo nella redazione esteri, al 'Messaggero'. Ma c'era una situazione pesante, un'aria irrespirabile. Mi licenziai, una cosa che molti giornalisti non hanno il coraggio di fare. Intensificai la mia collaborazione al 'Manifesto', che avevo già iniziato con pseudonimo: periodo duro, scrivevo per passione, ma mi mantenevo con altri lavoretti, traduzioni, interprete, sottotitolature per i film. Ma continuavo a viaggiare. Tornai in Giappone, poi Sudamerica, Tibet. In Italia misi su un'agenzia di viaggio specializzat in sport estremi. Lavoravo con grande entusiasmo per programmi Tv molto popolari: 'Turisti per caso', "Sciuscià"... Insomma, non stavo mai fermo. Fino a quando non cominciai a lavorare per Naoto Kan, all'epoca leader del partito democratico, all'opposizione. Oggi premier del GIappone".

Una bella esperienza?
“Assolutamente sì. Fui io apresentarlo a Prodi. Da quel primo incontro nacque una simpatia reciproca, una grande amicizia ed un lungo sodalizio politico. Naoto Kan è uno dei pochi uomini politici giapponesi conosciuto in Europa e soprattutto in Italia. E un po' è anche merito mio, lo accompagnavo in giro, gli curavo le relazioni internazionali, gli aggiustavo i discorsi...anche ora, divenuto premier, mi onora della sua amicizia. Mi aveva anche proposto di lavorare "a palazzo". Ma ho preferito di no. Preferisco essere libero di criticarlo, come amico e come giornalista. E spesso lo faccio".

Che cosa gli rimproveri?
“Ha uno scarso carisma, un insufficiente approccio con le cose concrete, con il cuore della popolazione. E' un buon politico, con un'ottima cultura , una grande passione e preparazione. E soprattutto, è onesto. Però gli manca quel quid in più, pur essendo bravissimo. Lo sta dimostrando nella attuale emergenza, non riesce ad imporsi" .

Veniamo a Fukushima. Tu hai deciso di partire subito per il nord da Tokyo. A differenza di tutti gli altri giornalisti italiani che si sono trasferiti a Osaka.
“Esattamente. Io non ho proprio capito il comportamento dei miei colleghi. Ho fatto tutto cum grano salis, calcolando ogni minimo spostamento. Non ho fatto nulla di eroico. Sapevo di poter andare fino a una certa distanza. Ho fatto quello che un reporter deve fare, nulla di più.  Per prima cosa, la notte stessa del disastro mi sono mosso subito. Per primo. E' vero che molti cittadini di Tokyo hanno subito lasciato la città, ma solo per motivi precauzionali. Non per abbandonarla definitivamente. C'erano le ferie di primavera e alcuni hanno approfittato per visitare parenti o passare il weekend in campagna. Quindi non bisogna raccontare fandonie, come ha fatto gran parte della stampa italiana: non c'è stato nessun esodo. Io sono andato a nord, a differenza degli altri, perché sapevo che c'era la possibilità di raccontare delle storie. Inizialmente, dopo aver tentato inutilmente di raggiungere Fukushima, mi sono fermato nella zona di Akita, a nordovest. Ho preferito ripararmi al di là della catena montuosa che in quel punto taglia a metà l'isola. Una sorta di istinto di protezione, per trovarmi al riparo dalle possibili radiazioni. Da Akita , potevo spostarmi facilmente e coprire sia la catastrofe dello tsunami, sia l'emergenza nucleare. E così, mentre tutti gli altri, per carità, magari obbligati dalle loro testate rimanevano a Osaka, io ero a pochi chilometri dalla storia più importante. Avevo fatto una cosa semplicissima: ero andato al di là del disastro. L'ho preso alle spalle, se così vogliamo dire. Ci tengo a dire, comunque, che non ero solo. Per buona parte del viaggio, ero in compagnia di un valido e coraggioso collega, Stefano Carrer, del Sole 24 ore. Mi ha seguito ovunque, tranne quando sono entrato nella zona evacuata. Ma solo perché l'avevano richiamato a Tokyo. Se fosse stato con me, probabilmente sarebbe entrato anche lui”.

E SkyTg24 ha avallato tutto?
“In linea di massima sì. A volte confesso di averli messi di fronte al fatto compiuto, come quando sono andato fino ai cancelli della centrale. Ma ho sempre potuto contare sulla fiducia e l'appoggio del mio direttore, Emilio Carelli. Mi ha sempre detto: valuta tu, mi fido. E' quello che deve fare un direttore, in questi casi. Io comunque non sono mica un pazzo, ho pianificato tutto. Ho parlato con molti amici giapponesi, mi sono fatto consigliare su come muovermi. Mi sono messo al riparo dalla nube nucleare senza problemi ed ogni volta che mi sono avvicinato alla centrale ho indossato una tuta antiradiazioni. Ho fatto lo screening due volte. Nessun problema. E' come se mi fossi fatto un paio di lastre. In vita mia, a seguito di vari incidenti, mi sono fatto varie TAC, assorbendo più radiazioni, immagino".

Mai un ripensamento?
“Mai. Ho fatto soltanto il mio dovere di giornalista. Ero dove dovevo essere”.

Tu hai detto: “Il governo giapponese non è in grado di utilizzare le maniere forti con la Tepco”. Qual è la situazione ora?
“Confermo. In primo luogo inquadriamo la Tepco. Un colosso privato. Di un settore che dovrebbe invece essere pubblico, o quantomeno sotto stretto controllo pubblico. Un colosso che per come ha gestito questa e passate emergenze è assolutamente indifendibile e inaffidabile. Io mi fido del governo giapponese ed in particolare di Naoto Kan. Non penso che menta, sapendo di mentire, come è purtroppo avvenuto in passato, con altri governi. Ma il problema è che anche il governo è costretto a muoversi sulle informazioni che fornisce la Tepco. Che in passato è stata ripetutamente multata per manomissione di dati e violazione delle norme di sicurezza".


Eppure sembra che ci sia piena cooperazione.
“Il Governo sente il fiato sul collo dell'elettorato. Cercano di dare un'idea di efficienza. Ma è la Tepco che detta i tempi, almeno ora. Nella centrale di Fukushima non entra nessuno, nemmeno gli americani, nemmeno gli esperti francesi che il presidente Sarkozy ha inviato pro domo sua. Non vede l'ora di vendere i suoi reattori, che considera migliori e più sicuri. Ma a Fukushima non entra nessuno. L'azienda ha eretto un muro".


Tu sei entrato nella cosidetta 'cintura maledetta'. Qual è la situazione ora?
“Globalmente, mi sento di dirlo, la situazione sta migliorando. La popolazione della zona è stata messa al sicuro. E le radiazioni sono sotto controllo, pare stiano diminuendo e questo lo dicono tutti, da Greenpeace al governo. Il problema è che l'emergenza non è finita. La situazione può precipitare in ogni momento!".

Tokyo ha detto che i reattori saranno stabilizzati entro 6-9 mesi.
“Una stima plausibile. Speriamo sia vero. Io mi sono avvicinato alla centrale e ho rilevato con il contatore geiger come hai visto su Sky, il livello di radioattività, attorno ai 90 microsiviert l'ora. Una TAC te ne fa assorbire 1000, in pochi minuti. A questo proposito voglio sfatare un mito: Fukushima non è neanche lontanamente paragonabile, per il momento, a Chernobyl. Il livello delle radiazioni per ora è fermo 6-7% del totale di quelle ucraine. Sono stati due eventi simili, ma assolutamente non allineabili. Si è fatto un gran parlare del livello di gravità del disastro. Ma niente è peggiorato in maniera sensibile: la gravità dell'incidente doveva essere indicata fin dal primo momento di livello 7, non è peggiorata in corso d'opera".

Anche qui invenzioni giornalistiche?
“Invenzioni no. Diciamo un comprensibile tentativo di non provocare subito il panico. Non dico che Fukushima non diventerà mai come Chernobyl. Potrebbe. E da antinucleare convinto dico che è proprio per questo che non bisogna usare l'energia nucleare. La gente non deve essere costretta a vivere sotto un incubo costante, il nucleare sicuro, quanto meno al momento, non esiste. Però tra soppesare i rischi e "dare i numeri" ce ne passa. E la stampa deve stare molto attenta a non spingere sul pedale del catastrofismo".

Ma non si poteva fare di più per la prevenzione di una catastrofe del genere?
“Assolutamente sì. Ed è lì lo scandalo. I dirigenti della Tepco non hanno rispettato le leggi, hanno evitato di mettere a norma gli impianti. Hanno mentito ai giapponesi. Andrebbero incriminati per procurata catastrofe, e per non aver effettuato le corrette procedure. Eppure sono tutti ancora lì, a nascondere la verità. Ma le vere responsabilità risiedono anche nei passati governi, che hanno concesso l'autorizzazione a costruire le centrali, in una costa a rischio tsunami, a livello del mare!".

Un rischio incredibile.
“Esatto. E' costruita sul livello del mare e senza rispettare le adeguate misure di sicurezza. Passi il terremoto. E' stato lo tsunami a mettere in ginocchio la centrale. E quella vicinanza alla costa ha reso possibile il patatrac. Cosa che non si è verificata per esempio nell'altra centrale di Onagawa, nella prefettura di Miyagi, dove la centrale staziona a una distanza che rispetta i limiti di legge. E dire che a Onagawa si sono salvati per miracolo”.

L'Italia deve tornare al nucleare?
“Assolutamente no. In Italia come nel resto dell'Europa il nucleare non serve. Bisogna puntare su fonti di energia alternative. Sarkozy faccia tutti gli spot che vuole, ma il nucleare sicuro non esiste”.

Sisma e lutti. Italiani e giapponesi a confronto.
“Due popoli molto simili. Più di quanto si possa pensare. Da noi, come in Giappone, vale più guardarsi negli occhi, stringersi la mano, inchinarsi. La mancanza di rispetto, come in Italia, diventa una macchia difficile da lavare via. I giapponesi come gli italiani hanno un enorme capacità di sopportazione. Siamo due grandi popoli, da sempre, salvo rare eccezioni, malgovernati. I giapponesi hanno una marcia in più. Hanno sopportato anche questa immane tragedia. Parlo dello tsunami, intendiamoci. Non del sisma, che visto che le case sono fatte tutte di plastica legno e alluminio, non ha fatto particolari danni. Per le emergenze però una differenza c'è”.

Quale?
“Gli italiani spesso sfruttano le calamità per cullarsi, per farsi aiutare. I giapponesi assolutamente no. Per loro stare fermi è una sofferenza. Loro fuggono dai centri per sfollati, a differenza degli italiani, che invece ci resterebbero a vita. Hanno questa grande dignità, una fierezza nel guardare sempre oltre. Ammirevoli".

Ma ora che sei in Italia come ti senti.
“Voglio dirlo: non mi piace per niente questo 'tsunami permanente' che c'è in Italia. Parlo delle strade: c'è immondizia ovunque. Una zozzeria mai vista. Ho trovato Roma in pessime condizioni, soprattutto dal punto di vista della pulizia. Per questo siamo anni luce indietro rispetto al Giappone. Loro, per farti un esempio, ad un mese dalla catastrofe hanno già differenziato i detriti. Macchine di qua, plastiche di là etc etc. Noi non la facciamo nemmeno per le strade, è inconcepibile. E' questo appunto fa parte sempre del mio discorso sulla dignità. Nelle coste colpite dallo tsunami, trovi detriti e macerie. Ma nessuna cartaccia o bottiglietta di plastica. E se la trovano la raccolgono immediatamente".

Insomma, Pio d'Emilia sta per ripartire. Qual è stata in definitiva la soddisfazione più grande?
“Ce ne sono due. Una è quella di aver fatto il mio dovere da giornalista. Ripeto, senza aver fatto l'eroe. La seconda è stata vedermi su 'Blob' (Rai Tre): fantastico essere messo tra le monetine a Craxi e la notifica a Berlusconi del G7 di tempo fa a Napoli. Quelle sono vere soddisfazioni”.