New York, 27 settembre 2011 - Giuseppe Garibaldi, il “Washington d’Italia” le cui gesta erano conosciute ed apprezzate Oltreoceano, fu ad un passo dall’accettare la guida dell’esercito nordista nella guerra di secessione.

Il New York Times ritorna sull’offerta che proprio nel settembre di 150 anni fa il presidente Abramo Lincoln fece arrivare all’Eroe dei due mondi di guidare le forze dell’Unione contro quelle della Confederazione degli stati del sud che con l’attacco a Fort Sumter, il 12 aprile, avevano dato inizio alla loro secessione.

Ma l’emissario mandato dal presidente americano non riusci’ a rispondere alla domanda pressante di Garibaldi, riguardo al fatto che la guerra che si stava combattendo sul suolo americano - che l’eroe italiano considerava come una sorta di seconda patria dopo il suo esilio a New York - fosse principalmente motivata dalla necessita’ di garantire la liberta’ degli schiavi.

Questa costituisce una novita’ nella ricostruzione della vicenda che e’ stata rievocata piu’ volte per esaltare la concomitanza di anniversari che l’Italia e gli Stati Uniti si trovano a vivere quest’anno: 150 anni fa mentre “gli Stati Uniti rischiavano di disintegrarsi, l’italia proclamava la sua esistenza come nazione unita. Garibaldi aveva fatto l’Italia, forse questo straordinario generale poteva aiutare a rifare gli Stati Uniti”, si legge nel lungo e dettagliato articolo scritto da Don Doyle, professore di storia dell’universita’ della Carolina del Sud.

Doyle ricostruisce - sulla base di documenti trovati negli archivi del dipartimento di Stato - la missione segreta che Herry Shelton Sanford, che Lincoln aveva nominato suo rappresentante in Belgio - “e che era anche a capo delle operazione segrete dell’America in Europa, coordinando le spie, alimentando la propaganda e pianificando attivita’ segrete” - a Caprera, raggiunta da Genova nella notte dell’otto settembre a bordo di “una nave affittata in segreto per dare pubblicita’ al suo viaggio”.

Il giorno seguente, “dopo aver camminato un chilometro e mezzo in un stretto sentiero nell’isola rocciosa spazzata dal vento”, l’emissario di Lincoln pote’ incontrare, “in un rustico casolare”, il famosissimo generale italiano di cui ormai da mesi la stampa americana parlava con insistenza come il possibile condottiero delle forze nordiste. “Garibaldi sta arrivando in America”, “Urra’ per Garibaldi, ha accettato”, recitavano alcuni dei titoli dei giornali americani di quell’estate.

Ora a Sanford, che in tasca aveva finalmente un’offerta ufficiale firmata da Lincoln e dal segretario di Stato William Seward, Garibaldi - che nei mesi precedenti aveva effettivamente avuto dei contatti non ufficiali con il console americano a Antwerp, James Quiggle - disse che sarebbe stato “molto felice di servire un paese al quale sono cosi’ affezionato”. Ma chiese piu’ volte, con insistenza, se l’Unione voleva considerare e rappresentare la guerra come una guerra contro la schiavitu’.

Una guerra del genere, era il ragionamento di Garibaldi - sarebbe stata facilmente vinta considerato che “il nemico era indebolito dai suoi vizi e disarmato dalla sua coscienza”. E non solo, il movimento di abolizione della schiavitu’ si sarebbe mossa dal nord al sud, nei Caraibi e nel Brasile dove milioni di “miserabili schiavi potranno sollevare la propria testa ed essere cittadini liberi”.

Insomma, l’obiettivo umanitario era prioritario per il grande idealista del nostro Risorgimento: se la guerra non sara’ per liberare gli schiavi, disse a Sanford, “la guerra apparira’ come una qualsiasi guerra civile non riuscendo ad attirare particolare interesse e simpatia nel mondo”. Il giorno dopo Sanford lascio’ Caprera, dopo aver “ancora parlato per ore fina quando Sanford ammise di non poter dare una risposta soddisfacente alla domanda di Garibaldi”, scrive lo storico americano.

Per alcuni mesi la notizia di Garibaldi diretto in America rimase sui giornali, ma “lentamente scomparve sia dalla stampa che dalla memoria storica, ritornando di tanto in tanto come una semplice curiosita’ della storia della Guerra Civile”. Ma invece, conclude lo storico, la domanda rimasta senza risposta di Garibaldi e’ quanto mai attuale nel dibattito sulla guerra di secessione, “se si e’ trattata di una semplice guerra civile o di una battaglia per la democrazia”.

Eppure, come testimonia la lettera successivamente inviata da Garibaldi a Lincoln, in sostegno e ammirazione per il Proclama dell’abolizione della schiavitu’ degli Stati dell’Unione, l’Eroe dei due mondi ebbe finalmente risposta alla sua domanda due anni dopo. Una copia anastatica di quella lettera, datata 6 agosto 1863, e’ stata donata dal vicepresidente Usa Joe Biden al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della sua visita a Roma per le celebrazioni del 2 giugno e dei 150 anni dell’Unita’ d’Italia. “Un cimelio di grande significato”, commento’ Napolitano nel ricevere copia della lettera, che e’ ora ospitata al Quirinale.