SE DUE ICONE letterarie come Joseph Conrad ed Emilio Salgari si fossero alleati per scrivere una storia insieme non sarebbero riusciti a concepirne una tanto avventurosa, leggendaria, misteriosa ed eroica come è stata la vita di Amedeo Guillet, il comandante Diavolo. Guillet, ufficiale delle Guide cavalleggeri, fu un eroe-antieroe che nella sua esistenza ha vestito mille ruoli, da atleta e grande amante dei cavalli che hanno scandito la sua vita in pace e in battaglia, a eroe con la divisa coloniale italiana nella seconda guerra mondiale, a guerrigliero del deserto, poi fuggiasco in Yemen, agente segreto, diplomatico. Piemontese, nato nel 1908, ha vissuto come una furia della natura in bilico tra due secoli salutando serenamente tutti nel 2010, all’eta di 101 anni. Fino a quel momento ha raccontato mille volte la sua guerra coloniale cominciata nella campagna di Abissinia alla guida di un battaglione di fedeli Spahis, temibilissimi guerrieri a cavallo eritrei, e poi continuata dopo la resa da solo con la sua banda di arabi. Si tolse la divisa e fece la sua guerra privata contro gli inglesi per quasi un anno, da guerrigliero. Non era più da tempo il capitano Guillet, ma Cummandar es Sciaitan, il comandante Diavolo.

IL GENERALE Vittorio Varrà, già comandante delle Guide cavalleggeri a fine anni Ottanta, ricorda che raccontava un’esistenza cinematografica come una cosa normale. «Era un antieroe e quando parlava delle proprie gesta ripeteva: tutti l’avrebbero fatto, non è stato merito mio, gli eventi mi hanno guidato...» Sapeva di mentire, ma era fatto così. La storia di Guillet è da numero uno, fin dall’inizio. E’ stato l’unico italiano a portare addosso quattro ferite di guerra e 27 decorazioni compreso un tatuaggio vicino al cuore inciso da un capotribù. Gli piaceva ricordare di conoscere 30 parole in arabo per pronunciare la parola cavallo. «Il destriero che dorme è diverso da quello che mangia o galoppa».
La sua avventura comincia in Abissinia nel 1935, continua nella guerra di Spagna, riparte in Africa. Le sue bande Amhara (poi si aggiunsero eritrei, yemeniti, libici), a cavallo che comandava vestito con turbante e tunica, gli saranno fedeli per sempre e con lui protagoniste di un’ultima romantica carica a cavallo (1941) con bombe a mano e spade contro i tank inglesi. Di lì a poco all’Amba Alagi cadde l’impero. Ma il comandante Diavolo senza ordini ed esercito non si arrese. Così divenne il leggendario protagonista di una guerriglia senza quartiere con i suoi cavalieri del deserto contro gli inglesi. Otto mesi di imboscate e fughe. Cambiò nome e divenne Ahmed Abdallah al Redal, fingendosi yemenita con al fianco la bellissima compagna Kadija. Diavolo era un vero diavolo.

BEFFÒ GLI INGLESI incassando anche la taglia di mille sterline sulla sua testa. Ma l’Africa dell’Asse moriva e Diavolo fuggì in Yemen. Fu gettato in mare, depredato, percosso da pastori nomadi. Ci riprovò e una volta in Yemen fu arrestato. Ma risorse. L’Imam, anziché consegnarlo agli Alleati, ne rimase affascinato e lo nominò istruttore di equitazione delle sue truppe. Di Guillet in Italia si persero le tracce. Rientrò in patria nel 1943 e l’Imam pianse. In Italia l’indomabile soldato scrisse un nuovo capitolo. Sposò la sua fidanzata, aggirò la Rsi e, fedele al re, entrò nel servizio segreto militare fino alle elezioni del 1948. Fine della storia? Macché. Guillet fu ambasciatore in Marocco, India, Giordania, dove il re cavalcava al suo fianco chiamandolo zio. In seguito Diavolo visse in Irlanda, dove a 92 anni cavalcava sui prati verde smeraldo. Per l’ultima missione verso il cielo è partito da Roma, da dove nel 1935 cominciò la sua avventura terrena.
 

 

di Beppe Boni