Padova, 6 aprile 2013 - "Un giovinotto piccolo, elegantemente vestito, piuttosto brutto di viso, ma di aspetto e di modi distinti". Non poteva saperlo Adriano Cecioni, scultore, pittore e critico d'arte fiorentino, che quel  'giovinotto piccolo' di appena 18 anni, che cantava mentre dipingeva "en plein air", avrebbe presto conquistato Parigi diventando uno dei protagonisti della pittura moderna. Non poteva saperlo, ma il suo occhio attento  seguiva con cura i progressi di quel ragazzo pugliese incontrato a Napoli, perché gli effetti cromatici e la tenua luce dei suoi dipinti ne facevano un unicum nel panorama giovanile della metà dell'Ottocento. E di questo secolo Giuseppe De Nittis diventerà un interprete emblematico e consapevole, quasi un fotografo che scatta istantanee con il pennello, facendo  della mondanità l'Olimpo dell'era moderna. A lui è dedicata la mostra di Palazzo Zabarella a Padova, promossa dalla Fondazione Bano e dalla Fondazione Antonveneta e aperta fino al 26 maggio.

I 120 capolavori esposti ne fanno la rassegna più importante mai realizzata in Italia, nell'evidente intento di riscoprire la grandezza di un artista non integrato nei cliché dell'epoca e per questo prima dimenticato, poi tenuto ai margini e ancora  solo in parte valorizzato sul piano internazionale. Emanuela Angiuli e Fernando Mazzocca hanno raccolto le opere in alcuni dei più prestigiosi musei e collezioni pubbliche italiane e francesi accompagnandoci in un cammino che passa attraverso l'affascinante mondo dello charme e dell'eleganza  raffigurato spesso attraverso raffinate tecniche pittoriche, come quella del pastello. Così è rimasta immortale  quella signora con il pon-pon rosa sul cappello, graziosamente arrampicata su una sedia e scortata dal monsieur in cilindro, baffi e bastone che si gode lo spettacolo "Alle corse d'Auteil". E ci affascina la vita sull'"Avenue du Bois de Boulogne", con i suoi personaggi simili alle statuine di un presepe, mentre a Hyde Park due giovani sussurrano (che cosa?) in una "Flirtation" d'altri tempi. Parigi e Londra sono le due città che incoronano De Nittis, le due società di cui carpisce l'atmosfera per restituircela oggi intatta nelle sue stagioni, nelle sue mode e abitudini.

Piccolo, grande Giuseppe, anzi, Peppino, come lo chiamavano gli amici. Lui, il signore delle "dame", lui, italiano, ma anche parigino perché la Francia l'aveva sposata come Leontine Lucille Gruvelle, per tutti Titine. Lui sempre cordiale, mai aggressivo, sempre pronto a cucinare grandi piattate di maccheroni per tutti coloro che frequentavano la bella villa di Rue Viete a Parigi dove si incontravano, tra gli altri, Manet, Degas, Oscar Wilde, Zola, Dumas figlio. Eppure la vita non gli aveva risparmiato niente: la mamma muore quando aveva appena 3 anni; il padre, proprietario terriero, si suicida quando ne ha 10; il fratello maggiore Vincenzo, anche lui morto suicida in anni posteriori, cercherà in tutti i modi di bloccargli la strada dell'arte. Ma niente traspare dalle sue opere, che non sembrano mai toccate da tensioni o turbamenti, in una visione serena dell' esistenza, quasi ideale. "Amo la vita, amo la pittura. Amo tutto ciò che ho dipinto": dichiarava entusiasta. Solo un velo di tristezza compare in alcune delle ultime opere. Il suo autoritratto e il ritratto della moglie in "Giornata d'inverno", insieme a "La colazione in giardino" lasciano intravedere a noi posteri, ormai consapevoli, un presentimento nefasto. De Nittis morirà infatti improvvisamente nel 1884 a soli 38 anni lasciando quel sogno che era stato la sua vita, lasciando rimpianti e celebrità, ma anche duecentomila franchi di debiti.

La mostra di Padova è una passeggiata dentro la vivacità di questo sogno attraverso opere qualche volta ignote anche alla critica. Dal periodo napoletano, in cui l'artista si immedesima nella natura, al ciclo delle vedute londinesi, da molto tempo assenti dall'Italia, passando per la vita frenetica parigina. Tutto questo era De Nittis. E oggi forse lo è ancora di più.

di Valeria Caldelli