Enrico Gatta

NELLA COLLANA lunghissima dei “gialli dell’arte” torna da protagonista Leonardo. Con in più un’appassionante “guerra di dame” per l’autenticità di opere ignote e avventurosamente ritrovate. Non si è ancora placato il dibattito sulla “Bella Principessa”, il disegno su pergamena acquistato nel 2007 a New York dal collezionista Peter Silverman nel quale molti studiosi hanno individuato il ritratto leonardesco di Bianca Sforza, ed ecco che emerge dal caveau di una banca svizzera, dopo essere rimasto per 5 secoli tra miti e leggende, un “Ritratto di Isabella d’Este”, nel quale il maggior leonardologo vivente, Carlo Pedretti, non esita a «riconoscere l’intervento» del Maestro di Vinci.

LA SORPRESA è stata grande, perché gli storici erano convinti che un ritratto a colori, molto desiderato e sollecitato da Isabella, signora di Mantova, in realtà non fosse mai stato dipinto. Era opinione comune che Leonardo non fosse andato oltre il famoso cartone preparatorio conservato al Museo del Louvre, a carboncino, sanguigna e pastello giallo. Alla sorpresa sono dunque seguiti dubbi e polemiche. Secondo lo storico dell’arte Tomaso Montanari - noto per aver ferocemente ironizzato sul «bufalificio fiorente» nel mondo dell’arte con un pamphlet intitolato «La madre di Caravaggio è sempre incinta» - la tela in questione potrebbe essere una copia, forse del vero ritratto andato perduto. È più drastico Vittorio Sgarbi, per il quale il “capolavoro” ritrovato «è una crosta di nessun valore», dall’immagine «goffa e bambagiosa, senza volume, senza chiaroscuro».
Il ritrovamento – come riportato da Sette, il settimanale del Corriere della sera – è avvenuto quasi casualmente tra le quasi 400 opere di una famiglia italiana che conserva la sua collezione in Svizzera, dalle parti di Turgi, nel Cantone Argovia. La tela, che sarebbe stata acquistata dai nonni degli attuali proprietari, solo negli ultimi tre anni e mezzo è stata sottoposta a studi e analisi.

LE INDAGINI condotte dal professor A.J. Timothy Jull dell’Università dell’Arizona hanno accertato che il dipinto è stato realizzato in un periodo compreso tra il 1460 e il 1650, con un picco di probabilità intorno al 1500 e dunque in un periodo nel quale fu intenso lo scambio epistolare tra il maestro di Vinci e Isabella. La «prima donna del mondo», come dicevano all’epoca, insiste: «Quando ne fusti in questa terra, et che ne ritrasti di carbono – scrive nel 1504 ricordando il passaggio di Leonardo a Mantova 5 anni prima – ne promettesti farmi in ogni modo una volta di colore …». Ma di questo “colore” non c’è traccia.

MA DA DOVE spunta allora questo ritratto? Secondo Sgarbi viene da Porta Portese, il popolare mercatino romano del bric-à-brac. Per Carlo Pedretti invece l’opera «potrebbe risalire a un periodo più tardo dell’attività di Leonardo e dei suoi due allievi più affezionati (il Salai e il più giovane Melzi) che nel 1514 lo seguirono a Roma, in Vaticano, ospiti di Giuliano de’ Medici, fratello del papa». Anche Isabella d’Este era allora ospite in Vaticano: «di qui – afferma ancora Pedretti in una sua lettera ai proprietari del dipinto – l’origine di questo eccezionale dipinto, nel quale non esito a riconoscere l’intervento di Leonardo particolarmente nella parte del volto, mentre il resto sarebbe stato portato avanti da Salai o dal Melzi».

DIVERSA l’identità della “Bella Principessa” ritratta nella pergamena di proprietà di Peter Silverman e attribuita a Leonardo da diversi studiosi a cominciare da Martin Kemp. Come lo stesso Silverman racconta in un libro pubblicato da Piemme, la dama ritrovata è Bianca Sforza, figlia naturale di Ludovico il Moro che la dette giovanissima in sposa a Galeazzo Sanseverino, mecenate di Leonardo.