Gian Marco Walch

MILANO, 10 aprile 2014 - NON POTEVA non pensarci: «Mentre scrivevo la biografia vera, non censurata o manipolata, di Lucrezia Borgia, mi sono accorto che pensavo a Franca». Già, per Dario Fo la compagna di una vita «che andava nelle carceri, si occupava dei malati di Aids, partecipava alle occupazioni di case, non per buon cuore ma in nome della giustizia sociale» assomigliava non poco alla duchessa di Ferrara che, mettendo in pratica le avveniristiche predicazioni economiche di fra’ Bernardino da Siena, s’inventò per aiutare i poveri cristi un Monte di Pietà anti-usura e, per proteggere i condannati innocenti, studiò leggi e processi. Lontanissima dalla nefasta tradizione che la vuole figlia e sorella incestuosa, avvelenatrice di mariti, furba e spietata arrampicatrice sociale, la Lucrezia Borgia che Fo, 88 anni, racconta ne “La figlia del papa”, il libro, in circolazione da oggi, che inaugura “Narrazioni”, la collana di Chiarelettere dedicata a testi che ribaltino i luoghi comuni. La Lucrezia di Fo è la donna che Ercole d’Este, l’illuminato signore di Ferrara padre di Alfonso, il suo terzo marito, definì «una delle gioie più grandi della mia vita», felice di averla conosciuta per «la generosità, lo slancio, la passione, il senso del sacrificio che è pronta a dare a chi ama». Pittore non meno che maestro di teatro, Fo ha arricchito il suo nuovo libro di trenta illustrazioni: in realtà ne ha create centoventi, usciranno in un volume a parte. Una galleria di ritratti a colpi di pennello che corredano il ritratto di Lucrezia composto con parole tutte documentate.

NATA nel 1480, scomparsa a soli 39 anni, la vera Lucrezia fu soprattutto vittima dei giochi politici del padre e del fratello. Che suo padre fosse il pontefice Alessandro VI lo scoprì a otto anni: uno choc che la segnò per la vita. Che il fratello Cesare fosse un assassino le si rivelò appieno quando le fece ammazzare il secondo marito, Alfonso d’Aragona, figlio illegittimo del re di Napoli: colpa di un rovesciamento di alleanze. Lo stesso meccanismo perverso per cui aveva dovuto sposare, bimba di undici anni, Giovanni Sforza, signore di Pesaro: matrimonio poi annullato per un’imposta «impotenza» di lui, anche questa politica.
Sullo sfondo di un’Europa turbolenta, di staterelli in perenne lotta, di un papato avido e lussurioso, Lucrezia nelle pagine di Fo si rivela abile diplomatica: lei stessa tratta le condizioni per le sue terze nozze. E accorta castellana: in assenza del marito reggerà lei il ducato degli Estensi. Ma anche amante infelice: delicato e sfortunato il suo amore segreto con Pietro Bembo, primo teorico della lingua italiana.

DUE VITE PARALLELE, per Fo, quelle di Lucrezia Borgia e di San Francesco, «lu santo jullàre» che l’inesauribile Premio Nobel porterà in scena, a Milano, lunedì agli Arcimboldi. E che gli ha permesso gli immancabili affondi nella cronaca politica. Bergoglio: «Parla come il Francesco santo». Renzi: «Un rivoluzionario? Tre volte no». Berlusconi: «Occuparsi di anziani sarebbe per lui una medicina straordinaria». Quanto al rapporto fra il potere ai tempi di Lucrezia e il potere oggi, Fo è sbrigativo: «Sarebbe stato troppo facile mettere a confronto episodi e personaggi d’allora e di oggi. D’altronde, gli antichi ci copiano sempre...»