Firenze, 16 aprile 2014 - SCOPERTI nei cassetti del Metropolitan Metropolitan Museum di New York, emanano energia, rimandando a qualcosa di già visto. Magnifico. Ammassi di corpi, muscoli, pettorali, tricipiti tesi; la dinamica bellezza di corpi non-finiti e di forze contrapposte. Tutto questo, e molto altro ancora, ha fatto sì che i critici accostassero i disegni - alla faccia degli sbalzi spazio-temporali - a quell’artista mito che è Michelangelo. Questo già nel 1997, su input di Katharine Baetje.

 


Dalla Grande Mela i disegni sono arrivati a Firenze, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, dove fa bella mostra di sé “Il Genio della Vittoria”, una delle opere più celebri del Buonarroti, emblema di quelle tensioni contrapposte che caratterizzano la scultura michelangiolesca e che, per vie sotterranee, tornano a proporsi con assoluta enfasi nelle rivoluzionarie pitture di Pollock.
Così, in occasione dei 450 anni dalla morte di Michelangelo, 6 rari disegni giovanili realizzati da Jackson Pollock tra il 1937 al 1939 sono esposti (per la prima volta in Italia) nelle sale del Palazzo del potere di Firenze, fino al 27 luglio (info www.pollockfirenze.it).

 

OBIETTIVO? «Dimostrare che uno dei grandi protagonisti della cultura mondiale del XX secolo, capace di scardinare le regole dell’arte figurativa occidentale dissolvendo gli ultimi baluardi della prospettiva rinascimentale, in realtà si è formato all’ombra del Buonarroti», spiega sorridendo Sergio Risaliti, cocuratore della mostra “Jackson Pollock - La figura della furia” con Francesca Campana Comparini, anima di una seconda, tecnologicissima sezione espositiva, allestita nel vicino complesso di San Firenze, sede dell’ex tribunale.

 


«Una grande sfida, ma anche una grande opportunità», il commento della soprintendente per il Polo museale fiorentino, Cristina Acidini, portatrice delle parole del critico d’arte Eugenio Battisti, docente alla Pennsylvania State University, che, nel 1975, definiva Pollock «il più michelangiolesco di tutti gli artisti contemporanei».

 


Promossa dal Comune di Firenze con il patrocinio del ministero dei Beni culturali e la collaborazione dell’Opificio delle pietre dure (che ha tutt’ora in restauro il maestoso “Alchemy” di Pollock), con Cariparma Crédit Agricole main sponsor, la rassegna fiorentina «congiunge magicamente il contemporaneo con il passato», come sottolinea il vicesindaco Dario Nardella.


Ma Pollock non si è solo ispirato a Michelangelo, copiandolo, lo ha reinterpretato: fin dagli inizi della sua carriera, il maestro americano considerato uno dei maggiori rappresentanti dell’Espressionismo astratto o Action painting, era interessato alla scultura, tanto da provare a modellare il marmo proprio “come Michelangelo”. E i disegni contenuti nei taccuini oggi in mostra nella Sala della Cancelleria di Palazzo Vecchio, sono l’esempio lampante di questa attrazione, ed ecco spiegato il singolare accostamento tra i due maestri, lontani nei secoli e negli stili.

 


FRA GLI IMPORTANTI prestiti custoditi nella Sala dei Gigli, una serie di straordinarie opere grafiche della Pollock Krasner Foundation, e poi dipinti come il coloratissimo “The water Bull” dallo Stedelijk Museum di Amsterdam e “Earth Worms” del Museum of Art di Tel Aviv. Sedici le opere: colpiscono allo stomaco altre due significative opere grafiche degli anni ’50, in cui, abolito l’uso del cavalletto per sentirsi parte integrante della tela durante la realizzazione dell’opera, Pollock anticipa e propone i più celebri drip painting, (sgocciolamento): dal pennello o direttamente dal barattolo, l’artista faceva scendere gocce di colore su un’enorme superficie da dipingere (tela o cartone disposti in terra) con l’azione casuale del braccio, appunto l’Action painting, la pittura d’azione.
Ma questa è un’altra storia.
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