Città del Messico, 17 aprile 2014 - Nella memoria di chi lo ha amato risuonerà sempre uno degli incipit più celebri della storia della letteratura: quello in cui il colonnello Aureliano Buendia viene poratto dal padre a conoscere il ghiaccio. Sono le prime parole di ‘Cent’anni di solitudine’, il più celebrato romanzio di Gabriel Garcia Marquez, ‘Gabo’, morto oggi a Citta’ del Messico a 87 anni.  Prima di diventare l’autore-simbolo di un’intera generazione, di un continente e di una lingua, il Nobel colombiano è stato per anni un grande giornalista, un "periodista" attento, poetico e duro, dei più drammatici avvenimenti che avevano mutato la mappa di mezzo mondo, dalle rivoluzioni di Cuba e del Portogallo alla tragedia cilena, al Che, ai cubani in Angola, ai montoneros, ai dittatori centroamericani, alla Spagna postfranchista di Felipe Gonzales.

Nato ad Aracataca, Magdalena, nel 1928, ha mescolato nella sua opera la dimensione reale e quella fantastica, dando impulso allo stile della narrativa latino-americana definito "realismo magico", di cui Cien anos de soledad (1967) rappresenta un manifesto. Nel 1982 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura.

Pubblicò ‘La hojarasca’ nel 1955, analisi di un suicidio attraverso il monologo di tre testimoni che portano alla luce vicende e passioni di tutto un paese nel corso di un secolo. Seguirono ‘Nessuno scrive al colonnello’ (1961), ‘I funerali della Mama’ Grande’ (1962) e ‘La mala ora’ (1962), romanzo con intenzioni politiche.

La sua opera di maggior successo, ‘Cent’anni di solitudine’ è del 1967, nella quale, sullo sfondo di un paese leggendario, Macondo, si intrecciano avvenimenti e fantasticherie, eroismi, crudeltà e solitudine. Ma ciò che più conta nel romanzo è la particolare struttura narrativa in cui la metafora e il mito acquistano valore nel quadro di una nuova visione della realtà. Dopo ‘Racconto di un naufrago' (1970), il volume di racconti La incredibile e triste storia de la candida Erendira e della sua nonna snaturatà (1972) e una raccolta di articoli torna al romanzo con ‘L’autunno del patriarca' (1975), in cui rievoca, con il suo personale lirismo mitico e con accentuato surrealismo, la figura tragico-grottesca di un dittatore sudamericano.

La sua produzione, quasi interamente tradotta in italiano, comprende i romanzi 'Cronaca di una morte annunciata' (1982), ‘L’amore ai tempi del colera’ (1985) e ‘Il generale nel suo labirinto’ (1989), riflessione sul potere attraverso la narrazione degli ultimi giorni di vita di Simon Bolivar. Del 1992 è, invece, la raccolta di racconti ‘Dodici racconti raminghi’, a meta’ tra realtà e fantasia; ‘Dell’amore e altri demoni’ (1994) indaga, attraverso la storia di una ragazza internata in un convento in quanto ritenuta indemoniata, sull’ineluttabilità e sull’inspiegabilità del sentimento amoroso. Ha poi scritto Vivere per raccontarla (2002) e Memoria delle mie puttane tristi (2004), un romanzo che racconta la storia di un vecchio giornalista che, a novant’anni, trascorre una notte con una ragazzina illibata, rimanendone piacevolmente sconvolto al punto da incominciare, quasi, un nuovo percorso di vita. La sua attività pubblicistica è stata parzialmente pubblicata in ‘A ruota libera 1974-1995’ (2003). Nel 2012 è stata edita in Italia la raccolta Tutti i racconti, che ricostruisce il percorso letterario dello scrittore a partire dalle prime sperimentazioni giovanili.