Giovanni Bogani

QUANTE COSE è stato Marlon Brando. Quante cose è ancora, per tutti noi. Ogni volta che rivediamo un suo film. Marlon Brando che, quasi senza parlare, nella casa vuota, fa l’amore selvaggiamente con Maria Schneider in “Ultimo tango a Parigi”. È il corpo nero, il cranio lucido, è un corpo abitato dalla morte nel finale di “Apocalypse Now”. Con l’immensa stanchezza e disillusione della sua voce. Protagonista, anche se appare solo nel finale di un film di oltre due ore. Marlon Brando è don Vito Corleone, immenso, carismatico, minaccioso nel “Padrino”. È giovane, bellissimo, canottiera e addominali, in “Un tram che si chiama desiderio”. È lo scaricatore di “Fronte del porto”. È il “Selvaggio” a cavalcioni sulla sua Triumph, una moto che continuerà ad amare, anche dopo il film. Lui, giacca di pelle e blue jeans. Eroe moderno, il primo, l’unico.

DIECI ANNI FA – il primo luglio 2004 – moriva, a 80 anni, Marlon Brando. Ma il cinema lo mantiene vivo, reale, presente. C’è da chiedersi, semmai, se quel suo modo di essere, la sua fisicità, la sua imbronciata, scontrosa bellezza, la sua ferocia fragile abbiano ancora cittadinanza, tra i modi contemporanei di affascinare. La risposta è: sì. Rivederlo ancora oggi mette i brividi. E c’è da chiedersi se qualcuno abbia ereditato il suo carisma, la sua arte di squassare l’anima dello spettatore anche soltanto con un silenzio. La risposta è: no. Forse nessuno. Forse avrebbe potuto essere il suo erede il suo amico Johnny Depp – con cui Brando, ormai semifossile, interpretò due film, “Don Juan De Marco” e “Il coraggioso”. Avrebbe potuto, Depp, non si fosse impantanato tra Caraibi, braccialetti e occhialini, in film buoni per passare alla cassa ma non per passare alla storia. Avrebbe potuto essere il suo erede Philip Seymour Hoffman. Massiccio, amaro, disordinato. Capace di mostrare anche il lato oscuro dell’animo umano; minaccioso – come nel bellissimo “The Master”. Ma quel lato oscuro ha preso il sopravvento in lui, e lo ha portato a morire di overdose, assurdamente, a neanche 47 anni. O forse, il suo erede è insospettabile: Joaquin Phoenix. Meno esuberante, meno arrogante. Ma è lui che, in “The Master” - sempre quel film - riesce a essere ottuso, appassionato, perduto e geniale. Come era Marlon Brando. E a Brando credevi, anche quando interpretava un semidio malato, morente in fondo alla giungla del Vietnam, che aspettava l’uomo che lo avrebbe liberato dal male di vivere. Quel male di vivere che Brando aveva addosso. Che non lo lasciò mai. Il successo, il denaro guadagnato e le donne non gli concessero mai la felicità. Ha scalato gli ultimi anni come un Golgota, senza soldi, senza fiato, senza pace. Obeso, con la bombola dell’ossigeno accanto al letto. Larry King, il famoso giornalista americano, dovette andare a intervistarlo a casa: non era capace neanche di recarsi negli studi tv. Aveva i piedi nudi, gonfi, da uomo che non sta in piedi. La tv impietosa li inquadrava.

E LE TRAGEDIE personali: il suicidio della figlia Cheyenne a 25 anni. Un altro figlio, Christian, accusato di omicidio. La Hollywood che conta gli aveva voltato le spalle. I fischi nella sua ultima apparizione pubblica, al concerto dell’amico Michael Jackson a New York: si era prodotto in una lunga filippica contro la violenza sui bambini fuori contesto, fuori luogo, non gradita. I guai giudziari, una ex cameriera che rivendica tre figli naturali avuti da lui e gli fa causa per 100 milioni di dollari. Lui che esibisce una pensione da poveraccio, o quasi. Ma possedeva un’isola in Polinesia. Le mille contraddizioni di un uomo non facile, che ebbe il coraggio di rifiutare l’Oscar vinto per “Il padrino” in segno di protesta contro le discriminazioni sui pellerossa. Lui che ha odiato il cinema, e che ha definito gli anni dedicati ai film come «buttati via». Per fortuna, in quel buttarsi via, ci ha lasciato quelle perle che sono i suoi film. È stato l’attore che ha rivoluzionato Hollywood. Tutti gli attori che lo hanno preceduto, se guardi lui, diventano di colpo vecchi. Con la sua violenta fragilità spazza via il sex appeal di Cary Grant, di Clark Gable, di Laurence Olivier. Lui sa di sale, di sudore, di olio da macchine, di vento. Lui è Marlon Brando, per sempre.