Roma, 26 giugno 2012 - È CONVINTO che l’euro resisterà almeno nei prossimi 6 mesi, «semmai bisognerebbe domandarsi quanto costerà il salvataggio»; ritiene però che le decisioni che saranno prese nelle prossime due settimane siano «fondamentali» per evitare un «armageddon economico»; infine vede come unica ricetta finale la nascita degli Stati Uniti d’Europa, «una grande unione monetaria e fiscale». Loris Centola, economista di Ubs, dove è co-head del CIO Wealth Management Research, uno dei team di ricerca mondiali della banca svizzera, fa il punto sulla crisi che morde l’Eurozona.

Insomma, la moneta unica non salterà.


«Le nostre indicazioni sono a favore dell’euro. La Spagna che pensa a salvare le banche, Italia e Francia che spingono sulla crescita, la Germania che vuole più austerità. Si sta cercando di sopravvivere, di posticipare i problemi, di evitare un armageddon preparando ‘un’Arca di Noè’. Nel breve periodo molto dipenderà da quanto sarà deciso nei prossimi giorni, dalla rinegoziazione degli aiuti alla Grecia al vertice europeo, mentre nel lungo bisognerà arrivare agli Stati Uniti d’Europa».


Pensiamo negativo: l’euro salta. Scenario?


«Il crac della moneta unica sarebbe un evento senza precedenti. Diverso il discorso se a uscire fosse solo Atene: in Grecia ci sarebbe una fuga di capitali, una chiusura di conti correnti, una svalutazione di circa il 50% della dracma, banche che fallirebbero per mancanza di liquidità, azzeramento dei crediti e a cascata fallimenti di aziende e boom della disoccupazione».


Con conseguenze per tutti.


«Sì, violente, anche per i tedeschi. L’export europeo soffrirebbe, con perdita di domanda dall’estero, i tassi d’interesse salirebbero...».


E se crollasse ovunque?


«Effetti più distruttivi, ma quantificare costi e ricadute sociali non è facile: non ci sono precedenti».


Qualche ipotesi?


«Intanto, ci sarebbe una disgregazione di parte dei crediti e dei debiti in euro. Il sistema ‘Target2’ regolamenta le transazioni con la moneta unica, esportazioni e importazioni coinvolgendo la Banca centrale europea, le Banche centrali e commerciali degli Stati. La Germania ha crediti, come Olanda, Lussemburgo, Finlandia e c’è chi ha debiti: Italia, Spagna, Grecia. Se salta l’euro molti crediti non saranno ripagati con ripercussioni sulle banche e fallimenti».


Uno tsunami. Ma è tutta colpa della rigidità della Germania se l’Europa è nel tunnel?


«No, va ringraziata per quello che fa, basti pensare all’impegno nei fondi salva stati. Vero, dall’unione ha avuto vantaggi: se fosse rimasto il marco non avrebbe quote vicine al 50% di export in Europa...».


Salvare l’euro costa pure ai tedeschi, ma meno di quanto sborserebbero se ci fosse una disintegrazione dell’Ue.


«Stampare moneta, salvare le banche e così via ha un prezzo per tutti, ma per quanto si potrà continuare? Più si va avanti e più il costo aumenta. Serve una soluzione definitiva».


Gli Stati Uniti d’Europa?


«E’ indispensabile un’unica politica fiscale. In Eurolandia ci sono 17 Paesi ognuno con un conto economico. Ma c’è una sola Banca centrale che decide un tasso di interesse per tutti. Spesso è una media tra le varie esigenze che non soddisfa nessuno...».


E quindi?


«Ci vuole anche un governo centrale dove far confluire tutte le tasse dei Paesi e ridistribuire le risorse a seconda dei bisogni. A quel punto ci sarebbero gli eurobond e tutti sarebbero responsabili del debito».


Però qualcuno avrebbe più di quanto versa e qualcuno meno...


«Ma non succede già nelle singole nazioni? In Germania ci sono aree più ricche di altre, così in Italia e in Spagna. Ci identificheremmo come Europa. Lingua e costumi possono essere un problema, ma ce ne sono altri».


Quali?


«Il tempo. Per costruire l’unione bisognerebbe lavorare a lungo, cambiare leggi, intervenire sulle Costituzioni, non è semplice. Però è l’unica soluzione. Il messaggio che deve passare e arrivare ai nostri politici è uno: il tempo sta scadendo, bisogna prendere, finalmente, delle decisioni».

 

di Matteo Naccari