Milano, 21 maggio 2013 - Il 22 luglio diventerà effettiva la nuova Direttiva sui gestori di fondi alternativi, la numero 61 del 2011, che consentirà ai fondi pensione, di investire in ogni tipo di prodotto finanziario.

Se da un lato ciò potrebbe portare a uno sviluppo della previdenza integrativa, dall’altro apre scenari per nulla rassicuranti. Difatti i soldi in gestione, ovvero le pensioni future di milioni di italiani tra cui giornalisti e avvocati ad esempio, potrebbero essere investiti su hedge funds e prodotti derivati, su cui è virtualmente impossibile avere garanzie ed effettuare controlli, essendo facile farli transitare per paradisi fiscali dove la segretezza è assoluta: non solo le Cayman, ma anche la City di Londra o la Svizzera, il Lussemburgo o le isole inglesi nel canale della Manica.

Ad oggi tutta la materia è regolata in modo molto stringente dal decreto ministeriale 703 del 1996, che non contempla tali artifizi e paradisi fiscali perché all’epoca non esistevano, e quindi impedisce ai nostri fondi di utilizzare i capitali gestiti in modo poco trasparente.

Addirittura c’è un limite del 5% per investire al di fuori dei Paesi membri dell’Ocse. Un bene pensando ai paradisi fiscali, un male se si pensa che nell’Ocse non ci sono i cosiddetti ‘Bric’, ovvero Brasile Russia India e Cina, dove ci sono oggi ottime possibilità, essendo oramai quelle le economie più floride del pianeta.

Apertura ai fondi esteri: ma si può affidare la pensione di milioni di italiani a chi ha speculato nei mesi scorsi sull’aumento dello spread tra Italia e Germania?