Roma, 1 ottobre 2013 - Per riportare il tasso di disoccupazione all’8% entro il 2020, il tasso di crescita del Pil dovrà superare il 2% l’anno nei prossimi anni. E’ quanto stima il rapporto del Cnel sul mercato del lavoro. L’Italia è tra i paesi dell’area euro che negli ultimi anni hanno mostrato una “buona capacità di resistenza del mercato del lavoro” alla crisi, spiega lo studio. La riduzione delle ore lavorate per occupato, così come la stessa flessione della produttività del lavoro, “ha contribuito a contenere l’entità delle perdite occupazionali”. Nonostante ciò, se l’economia italiana non si riporterà su un “sentiero di crescita” sarà “molto difficile un’inversione di tendenza”.

OCCUPAZIONE TIENE, MA GIU' SALARI - La crisi “condiziona ancora in maniera determinante” le performance del mercato del lavoro, influenzando la domanda e stimolando cambiamenti nei comportamenti. E’ aumentata la partecipazione al mercato del lavoro, che però è andata ad alimentare la disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno. Più componenti della famiglia si attivano per compensare i redditi in deterioramento. Tuttavia, le “crescenti difficoltà” sui bilanci “frenano i giovani nel proseguire gli studi” e “la mancanza di lavoro e di formazione impoveriscono il capitale umano già accumulato”. A fronte della contrazione della domanda, “dovuta alla crisi economica e all’aumento della pressione fiscale”, lo studio registra un “aumento significativo della forza lavoro”, conseguenza della “perdita del potere d’acquisto delle famiglie” e della “diminuzione dei salari reali”. Il fenomeno, già avviato nel 2012, vede un generale incremento del tasso di attività che coinvolge tutte le fasce d’età.

La caduta del Pil in Italia è stata seconda solo alla Grecia, mentre la riduzione dell`occupazione è stata “relativamente contenuta”. Se l`occupazione fosse diminuita quanto il Pil, le perdite sarebbero oggi pari a un milione 870mila occupati, sottolinea il Cnel. “Possiamo dire che la nostra occupazione tiene rispetto alla caduta del Pil - aggiunge - ma tiene a prezzo dell`impoverimento di molti lavoratori, dei sacrifici delle loro famiglie e della capacità di sopravvivenza delle imprese più tenaci”. L`economia del Mezzogiorno ha registrato “maggiori perdite di posti di lavoro”, la “maggiore caduta dei redditi” e una “contrazione dei consumi più pronunciata”. Occupazione, disoccupazione e salari “non dipendono solo dagli irrisolti problemi del nostro mercato del lavoro, ma subiscono le conseguenze di una crisi profonda e difficilmente potranno risollevarsi se non ripartirà l`economia. Una ripresa solida e duratura non potrà che essere trainata da un’inversione di tendenza nell`andamento della produttività”.

L'ANNO PEGGIORE NELLA STORIA ITALIANA DAL DOPOGUERRA - Il 2013 è “l`anno peggiore della storia dell`economia italiana dal secondo dopoguerra”. “Ma crediamo anche - prosegue - che possa intercettare il punto di svolta del ciclo economico”. La crisi, iniziata nel 2007, “ha eroso le capacità di resistenza delle famiglie e delle imprese - spiega lo studio - generando condizioni di diffuso disagio sociale, una caduta profonda delle aspettative, un cambiamento radicale nelle abitudini dei consumatori”. La contrazione del prodotto cumulata dall`avvio della crisi ha raggiunto l`8%: una caduta di tale entità non poteva non lasciare “tracce profonde” nel tessuto produttivo e sulle opportunità occupazionali. “Negli ultimi anni abbiamo perso 750mila posti di lavoro - rileva il Cnel - una caduta che avrebbe potuto essere più profonda se la produttività del lavoro non fosse rallentata, se le ore lavorate per occupato non si fossero ridotte, se il ricorso alla Cig non fosse aumentato per tutelare i redditi dei lavoratori e le potenzialità di ripartenza delle imprese”.

GIU' LE TASSE, INCORAGGIARE INTESA SINDACATI CONFINDUSTRIA - Il Cnel “incoraggia” l’intesa sindacati-Confindustria “per una politica economica che fronteggi finalmente l`eccessivo carico fiscale che grava sul lavoro e sull`impresa”. E’ quanto sottolinea il rapporto sul mercato del lavoro. “La situazione è così fragile - spiega il Cnel - che non si può sprecare nessuna risorsa né fare mosse sbagliate”. A rendere più complessa la sfida sono quindi i vincoli della finanza pubblica, che limitano le risorse per le politiche del lavoro. “L’Italia - rileva lo studio - è tra i paesi che meno spendono per le politiche attive”. “Le politiche del lavoro - aggiunge il Cnel - non potranno che utilizzare strumenti a costo ridotto e puntare sulle immense economie derivanti dalla valorizzazione della collaborazione come vantaggio competitivo, dal miglioramento dei prodotti e dei processi, l’ottimizzazione dell’organizzazione del lavoro in funzione sia delle esigenze del mercato che di quelle dei lavoratori. Ma anche dall’investimento in formazione e addestramento e dal potenziamento della gestione delle risorse attraverso la partecipazione. A questo compito è chiamata non solo la politica economica, ma anche l’azione delle parti sociali”.

INATTIVI + 2 MILIONI L'ANNO  - L’incremento della popolazione attiva si è sostanzialmente tradotto in una “significativa espansione dell’area della difficoltà occupazionale”. E’ quanto rileva il rapporto del Cnel sul mercato del lavoro. Se oltre ai disoccupati si considerano anche gli inattivi disponibili a lavorare, coloro che non ricercano attivamente un lavoro e i sottoccupati (cassintegrati e occupati a tempo parziale involontari) l’area di disagio è aumentata di circa 2 milioni di persone in un anno. “Si tratta di uno spreco di risorse ingente - sostiene il Cnel - di un progressivo impoverimento del capitale umano, che rischia di generare conseguenze sociali allarmanti, soprattutto perché le più colpite sono le nuove generazioni”.

UN GIOVANE SU 4 NON LAVORA E NON STUDIA, AL SUD PUNTE DEL 35% - Il tasso di attività dei giovani (15-29 anni) è in aumento, nonostante rappresentino meno del 7% degli attivi mentre gli over 55 sono ormai più del 12%. E’ quanto rileva il rapporto del Cnel sul mercato del lavoro. Non si arresta il fenomeno dei Neet (not in employment, education or training): la quota di ragazzi che non hanno un’occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione si attesta al 23,9% della popolazione giovanile, con punte di 35% nelle regioni del Mezzogiorno. Più attivi sul mercato, ma più disoccupati o sottoinquadrati rispetto ai livelli di istruzione conseguiti, i giovani confermano ancora una volta il vuoto che esiste tra i risultati del sistema formativo e la domanda di lavoro e il progressivo incremento del fenomeno dell’over education. I giovani, aggiunge lo studio del Cnel, sono inoltre più frequentemente working poor, lavoratori a basso salario, che accettano condizioni lavorative che li espongono al rischio di indigenza pur di entrare nel circuito produttivo. Peraltro, la maggiore disponibilità a prestazioni saltuarie e non inquadrate ha determinato la crescita del lavoro nero in tutto il paese.

Il rapporto del Cnel sottolinea che cresce la partecipazione degli over 55, soprattutto per effetto delle riforme pensionistiche, con le “inevitabili ripercussioni sul turn over” del circuito produttivo: quasi 277mila persone in più rispetto al 2011, dei quali la maggior parte occupati (+ 6,8% rispetto al 2011). Cresce anche il tasso di disoccupazione matura (dal 3,5 al 4,9%), nella quale rientrano gli esodati. L’offerta di lavoro da parte delle donne, aggiunge lo studio, è in aumento,ì sia rispetto agli anni passati che nei confronti della componente maschile: le donne attive sono ora più del 42% delle forze lavoro (40,5% nel 2007). E soprattutto sono aumentate le occupate: il tasso di occupazione femminile è salito al 41,6% dal 39,7% del 2007 con una crescita dell’1,2% rispetto al 2011 pari a 109mila occupate in più. Tuttavia, continua a persistere il fenomeno della segmentazione di genere, che caratterizza ampiamente il mercato del lavoro: le professioni in cui si concentra la presenza femminile sono poche e poco qualificate.

CRESCONO PART TIME INVOLONTARI - La recessione ha cambiato il mercato del lavoro anche dal punto di vista delle caratteristiche contrattuali. Cresce infatti il numero dei part time involontari (lavoratori che non hanno trovato un impiego a tempo pieno pur desiderandolo), ma soprattutto dei precari: quasi 3 milioni di persone, tra dipendenti a tempo determinato e parasubordinati, circa il 12,6% dell’occupazione complessiva. Il rapporto del Cnel sottolinea il rischio di precarietà per i giovani è aumentato di circa 6 punti percentuali dal 2007.

I dati suggeriscono un aumento del numero di italiani che scelgono di andare a lavorare all’estero, a fronte di una simmetrica diminuzione dei flussi in ingresso di lavoratori immigrati. Tutto ciò si registra in misura più intensa al Sud, che, avendo maggiormente risentito delle difficoltà della domanda interna, espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Anche la crescita della partecipazione al mercato del lavoro è stata più marcata nelle regioni del Mezzogiorno: in buona misura si è però trattato di un passaggio dall’inattività alla disoccupazione, data la debolezza della domanda.