Achille Perego

L’ITALIA non è un Paese per laureati. Ieri l’Eurostat, l’ufficio statistico della Ue, ci ha fatto sapere che siamo la maglia nera d’Europa. Gli italiani tra i 30 e i 34 anni che hanno completato gli studi universitari sono solo il 22,4%, la percentuale più bassa di tutti i 28 Paesi Ue. Circa quindici punti sotto la media (37%) e battuti persino dai romeni (22,8%). Se nel 2002 la percentuale dei laureati era quasi la metà (13,1%) e quindi è aumentata, gli altri Paesi europei hanno fatto molto meglio di noi. E il rischio è che le cose, complice la crisi e la difficoltà delle famiglie a pagare gli studi dei figli, peggiorino.
Dietro questa crisi ci sono tante ragioni. A cominciare, come avverte il sociologo Giancarlo Gasperoni, da un orientamento culturale, politico e familiare che fa passare l’idea che non serva studiare. In realtà, sebbene siano aumentate le difficoltà a trovare un impiego (anche per una struttura economica fatta di Pmi che richiede meno laureati e dove solo tre manager su dieci lo sono) e si siano ridotti i salari (mille euro al mese al primo impiego, il che spiega perché il 5% dei laureati fugge all’estero) a cinque anni dalla laurea, rileva l’ultima indagine di AlmaLaurea, solo l’8% è disoccupato.
Laurearsi, quindi, come ricorda il presidente di AlmaLaurea, Andrea Cammelli, conviene ancora. Ma mentre in tutti Paesi europei, a cominciare da quelli del Nord, si incentiva lo studio, da noi lo Stato investe nell’Istruzione solo l’1% del Pil, la metà della Germania. Senza un sostegno al merito e alle famiglie a basso reddito, finisce che solo tre studenti su dieci decidano di proseguire gli studi.
Così, anche se qualche colpa l’hanno pure gli atenei (troppi in numero e pochi nelle classifiche mondiali) il problema è quello di un Paese che rischia di perdere anche questo treno.

QUALCHE tempo fa l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, disse, provocatoriamente, che era meglio fare l’idraulico che laurearsi. Ma da noi, senza investimenti nell’istruzione e senza una grande riforma della scuola, ferma ancora all’impianto umanistico di Gentile, e con la convinzione, a partire dai genitori, che gli istituti tecnici siano di serie B (e così succede che tanti ragazzi comincino e poi abbandonino il liceo) rischiamo di non avere i laureati ma neppure gli idraulici.