Raffaele Marmo

NESSUNO o quasi se ne era accorto o aveva voluto accorgersene al momento del varo della riforma previdenziale targata Fornero. Ma quella riforma, al di là di tutti gli altri effetti che ha prodotto (a cominciare dagli esodati), ha in sé un meccanismo che paradossalmente favorisce le pensioni davvero d’oro. E allora, prima di ogni altra operazione per renderle meno ricche e più giuste, sarebbe equo disinnescare innanzitutto quel marchingegno introdotto appena due anni fa. Con il vecchio metodo cosiddetto retributivo l’ammontare della pensione era (e lo è ancora per gli anni maturati con quel sistema) il risultato del seguente calcolo: in pratica ogni anno di contributi versati o accreditati valeva, grosso modo, il 2 per cento della retribuzione media degli ultimi dieci anni, per cui con 35 anni si otteneva il 70 per cento di quello stipendio medio e con 40 anni si raggiungeva l’80 per cento.

ATTENZIONE, però. Esisteva un limite: e quel confine era rappresentato proprio dai 40 anni di anzianità contributiva, nel senso che gli anni successivi non fruttavano altre quote di rendita. Detto diversamente, oltre l’80 per cento non si poteva andare in ogni caso. Ebbene, la riforma che cosa ha fatto? Ha introdotto per tutti, dal primo gennaio 2012, il «nuovo» metodo di calcolo contributivo, basato sulla somma rivalutata dei contributi versati. L’innovazione va nella direzione di una maggiore equità generazionale. Peccato, però, che per i grand commis dello Stato di età avanzata come per i manager dagli stipendi d’oro, si traduce in un altro privilegio. Perché elimina il tetto dei 40 anni e dell’80 per cento, per cui tutti gli anni lavorati oltre i 40 producono dal 2012 altre fette di rendita che si aggiungono all’80 per cento già messo in cascina. Così, la quota di pensione conteggiata con il contributivo finirà per sommarsi a quella calcolata con il retributivo e il risultato sarà un importo della rendita addirittura del 90 o del 100 per cento (ma anche superiore in teoria) della retribuzione media del soggetto. Un bel regalo, tanto più consistente quanto più alto è il reddito già percepito. Alla faccia dell’equità generazionale. Ma possibile che nessuno si fosse reso conto di questo? Il direttore generale dell’Inps, Mauro Nori, lo fece presente e suggerì anche la soluzione: confermare il tetto per le rendite oltre una certa soglia. Ma non fu ascoltato. Gli fu detto che era un dettaglio. Un dettaglio che, però, oggi meriterebbe di essere subito corretto. Prima ancora di qualsiasi altro intervento sulle rendite d’oro.