IL SONDAGGIO settimanale dell’Ixè rivela che il bonus Renzi in busta paga (gli 80 euro in più) finirà per lo più per pagare debiti e spese arretrate. Come dire che il bonus arriva, ma forse un po’ tardi, visto che prima di tornare a consumare, l’Italia dei ceti medi e medio bassi deve ripagare i conti aperti. Tutto sbagliato, tutto da rifare dunque? Alt.
Il vizio italiano non è il benaltrismo, piuttosto il disfattismo cosmico, un pessimismo leopardiano senza poesia che applichiamo a ogni passaggio della vita civile e politica. È la diffidenza ormai assoluta verso ciò che viene annunciato da qualsiasi governo. La giustificazione è pronta e anche comprensibile: ci hanno vaccinati a non credere alle promesse e quindi a rottamare chiunque assicuri di migliorare la vita degli italiani, mitridatizzati dai troppi annunci rimasti solo parole.
Stavolta però, la scossa si vedrà subito. E non poteva essere altrimenti perché non ci sono exit strategy. Saranno pochi e maledetti, o «mitici» come dice il premier, ma quegli 80 euro sono il primo segno positivo in busta paga dopo anni di sacrifici. Così come il taglio dell’Irap è la prima reale mano tesa verso le imprese in affanno.

CERTO, la svolta non può finire qui. Non può che essere l’inizio, se vogliamo riemergere dalla palude della sfiducia. È una misura strutturale, ha garantito il capo del governo. Promettendo che sarà accompagnata in futuro da un analogo sforzo per incapienti e partite Iva, il proletariato moderno. Renzi sa che all’economia italiana serve il defibrillatore, non una corrente alternata a basso voltaggio. E quindi non può permettersi di rinviare sine die l’intervento sulla platea tagliata fuori, che potrebbe essere beneficiata a fronte di un intervento pesante contro l’evasione fiscale in grado di portare in cassa parte delle risorse necessarie.
Nell’attesa di allargare i beneficiari, è fondamentale che il bonus di 80 euro e la riduzione dell’Irap restino legati al taglio strutturale dei capitoli di spesa pubblica che non toccano la vita dei cittadini. Ottimo, ad esempio, intervenire sui centri spesa degli enti locali e dei ministeri che sono decine di migliaia e assomigliano a rubinetti aperti che disperdono risorse.

NON È POI un caso che il bonus Renzi e il taglio delle spese arrivino all’indomani della svolta sul pareggio di bilancio. Senza strepiti e senza battere pugni su chissà quale tavolo di Bruxelles o Berlino, il voto di Camera e Senato è stato un cambio di passo nei nostri rapporti con l’Europa.
È la prima volta che si riconosce che la parola rigore non si traduce applicando senza ragionare i diktat europei. E questo fa bene all’Italia ma soprattutto all’Europa. L’Europa può rispondere in maniera saggia all’ondata populista solo se capisce di non essere una gabbia, una rete di regole ottuse, ma se riporta le regole che si è data all’obiettivo prioritario: costruire un’unione più forte, solidale, capace di affrontare le sfide mondiali — compresa la peggiore crisi dal dopoguerra — in maniera adeguata al bene dei suoi cittadini e non dei potentati finanziari. Dalla crisi si esce anche togliendo il cappio dal collo dei cittadini. Fare girare il denaro per alimentare i consumi e riconoscere che di fronte a «circostanze straordinarie» la priorità è rilanciare l’economia, sono i passi avanti fatti in pochi giorni dall’Italia. La strada è scivolosa, in salita, faticosa, ma la direzione è giusta.