di GIUSEPPE TURANI

Roma, 7 maggio 2014 - Quest'anno la nostra crescita sarà solo dello 0,6 per cento e poi dell’1,1 cento l’anno prossimo. La Spagna, che era considerata morta, farà quest’anno l’1 per cento di crescita e andrà all’1,5 nel 2015. La Grecia sarà ancora in crisi nel 2014 (-0,3), ma nel 2015 sfiorerà il 2 per cento di crescita. Persino il Portogallo, paese da sempre povero, quest’anno crescerà dell’1 per cento e nel 2015 arriverà all’1,5. E infine c’è l’Irlanda, altro ex grande malato d’Europa (già Marx scriveva che gli irlandesi mangiano solo patate di cattiva qualità perché le migliori le vendono agli inglesi): quest’anno crescerà quasi del 2 per cento per arrivare l’anno prossimo al 2,2. Si potrebbe continuare a lungo, ma la sostanza è quella avanzata nelle prime righe: anche quelli che consideravamo molto più sfortunati di noi si stanno riprendendo più in fretta dell’Italia. E quindi conviene chiedersi perché questo accada. La risposta è abbastanza semplice: gli altri hanno amministrato se stessi con rigore (magari sotto il dominio della troika), hanno fatto le riforme e adesso, superata la tempesta, ricominciano a correre. Noi no.

L’Italia, invece, continua a crescere a metà della velocità con cui va avanti l’Europa. La cosa un po’ inquietante è che le riforme da fare (e persino il loro contenuto) sono faccende note da almeno un decennio: lavoro, giustizia, spesa pubblica e burocrazia. Viste le condizioni in cui ci troviamo (la non-crescita significa sei milioni di senza lavoro anche nel 2015), si potrebbe pensare che il Parlamento stia correndo come un cavallo di razza per arrivare a fare finalmente queste riforme. E invece, Renzi, che ci sta provando, incontra ostacoli quasi ogni giorno. Dal suo stesso partito, dal sindacato, dalla burocrazia, dai magistrati, dalle opposizioni, eccetera. Inoltre, nel paese stanno prendendo corpo partiti che, non sapendo come uscire dalla palude, propongono semplicemente di andarsene dall’euro e forse anche dall’Europa. Ignorando, o fingendo, che un gesto del genere, oltre a segnare per sempre il nostro fallimento, ci farebbe finire in una situazione «argentina», con assalto ai bancomat, prezzi alle stelle, risparmi distrutti: un disastro completo. Quelli che però dicono di volere il caos sono ormai un terzo dell’elettorato. La società italiana sembra incapace di fare le riforme che deve fare, ma capacissima di precipitarsi volontariamente nel caos più totale.