Roma, 7 maggio 2014 - Sono le diseguaglianze sociali sempre più marcate "il vero male che corrode l'Italia". Ad affermarlo pochi giorni fa è il Censis, secondo cui "i dieci uomini più ricchi del Paese dispongono di un patrimonio di circa 75 miliardi di euro, pari a quello di quasi 500mila famiglie operaie messe insieme". Non solo: poco meno di 2mila italiani "paperoni", membri del club mondiale degli ultraricchi, dispongono di un patrimonio complessivo superiore a 169 miliardi (escluso il valore degli immobili), cioe' lo 0,003% della popolazione possiede una ricchezza pari a quella del 4,5% della popolazione totale. Le distanze nella ricchezza sono cresciute nel tempo. Oggi, in piena crisi, il patrimonio di un dirigente e' pari a 5,6 volte quello di un operaio, mentre era pari a circa 3 volte vent'anni fa. Il patrimonio di un libero professionista e' pari a 4,5 volte quello di un operaio (4 volte vent'anni fa). Quello di un imprenditore e' pari a oltre 3 volte quello di un operaio (2,9 volte vent'anni fa). Rispetto a dodici anni fa, i redditi familiari annui degli operai sono diminuiti, in termini reali, del 17,9%, quelli degli impiegati del 12%, quelli degli imprenditori del 3,7%, mentre i redditi dei dirigenti sono aumentati dell'1,5%.

L'1% dei "top earner" (circa 414mila contribuenti italiani) si e' diviso nel 2012 un reddito netto di oltre 42 miliardi di euro, con redditi netti individuali che volano mediamente sopra i 102mila euro, mentre il valore medio dei redditi netti dichiarati dai contribuenti italiani non raggiunge i 15mila euro. E la quota di reddito finita ai "top earner" e' rimasta sostanzialmente stabile anche nella fase di crisi. Negli anni della crisi (tra il 2006 e il 2012), i consumi familiari annui degli operai si sono ridotti, in termini reali, del 10,5%, quelli degli imprenditori del 5,9%, quelli degli impiegati del 4,5%, mentre i consumi dei dirigenti hanno registrato solo un -2,4%. "Distanze gia' ampie che si allargano, dunque - rilevano i ricercatori del Censis - compattezza sociale che si sfarina, e alla corsa verso il ceto medio tipica degli anni '80 e '90 si e' sostituita oggi una fuga in direzioni opposte, con tanti che vanno giu' e solo pochi che riescono a salire. In questa situazione e' alto il rischio di un ritorno al conflitto sociale". Le iniquita' sociali non riguardano solo patrimoni e redditi, ci sono anche eventi della vita che generano diversita'. Come avere o non avere bambini: la nascita del primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in poverta' (nel primo caso il rischio riguarda l'11,6%, nel secondo caso il 13,1%). Ma la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il rischio di finire in poverta' (20,6%) e la nascita del terzo figlio lo triplica (32,3%). Inoltre, avere figli raddoppia il rischio di finire indebitati per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli: il rischio riguarda il 15,7% nel primo caso, il 6,2% nel secondo caso. Anche la geografia ha il suo peso: il rischio di finire in poverta' e', per i residenti nel sud (33,3%), triplo rispetto a quelli del nord (10,7%) e doppio rispetto a quelli del centro (15,5%). Al sud (18%) i residenti hanno anche un rischio quasi doppio di finire indebitati rispetto al nord (10,4%) e di 5 punti percentuali piu' alto rispetto a quelli del centro (13%).