{{IMG_SX}}New York, 17 aprile 2008  - La visita a Washington del premier britannico Gordon Brown è stata oscurata dalla contemporanea presenza nella capitale del Papa, con la messa oceanica allo stadio del baseball; ma gli occhi erano comunque puntati oggi sul primo ministro di Londra.


L'incontro con il presidente, George W. Bush alla Casa Bianca, doveva dimostrare la cordialità dei rapporti fra i due paesi alleati (anche se caratterialmente Brown è molto diverso dall'esuberante predecessore Tony Blair) e un'identità di vedute immutata rispetto al passato: anche se Brown ha intenzione di procedere a un ritiro dei soldati britannici dal sud dell'Iraq.

D'altra parte a Washington il leader britannico ha fatto notizia per un altro motivo: l'incontro con i tre potenziali futuri presidenti degli Stati Uniti, il repubblicano John McCain e i democratici Hillary Clinton e Barack Obama. "Ho assoluta fiducia nel fatto che lavorando con qualunque di loro potremo affrontare le sfide che si presenteranno in futuro", ha poi commentato il primo ministro.

Insomma le relazioni fra Londra e Washington sono inossidabili: oggi come ieri, e come domani. Una verità ribadita nella conferenza stampa al Rose Garden della Casa Bianca fra Bush e Brown, che ha definito i rapporti tra i due paesi "più solidi che mai", mentre il presidente americano ha detto di apprezzare "il rapporto speciale con la Gran Bretagna".

Convenevoli a parte, i due leader sono apparsi in perfetta armonia di vedute, anche quando si è parlato dell'Iraq e nonostante il piano di Brown per ridurre la presenza militare britannica in Iraq da 4.000 a 2.500 soldati. Il ritiro, che avrebbe dovuto cominciare entro settimane, è stato posticipato a causa dei recenti episodi di violenza a Bassora.

Bush ha ribadito di "volere vincere in Iraq", sottolineando che "sono stati raggiunti obiettivi e la strategia sta avendo successo". Il presidente americano, che ha detto di avere spiegato a Brown le motivazioni delle sue recenti scelte sull'Iraq prese dopo le raccomandazioni del generale David Petraeus, a capo delle truppe americane in Iraq, ha chiarito che "le truppe non saranno ritirate finché sarà necessario che stiano là", dal momento che "ne vale la pena". Anche Brown ha ammesso che la situazione in Iraq "è migliorata e il paese è maggiormente in grado di gestire i propri affari interni" e che "è tornata la democrazia".

Oltre alle questioni economiche, - Bush ha sottolineato che "la questione è stata dibattuta e sono state cercate soluzioni comuni", Brown ha chiesto "sforzi coordinati per uscire dalla crisi finanziaria", - i due si sono soffermati sulla situazione in Iran e Zimbabwe, tema su cui entrambi si sono detti d'accordo sulla necessità di "tenere posizioni decise".

Per quanto riguarda il programma nucleare di Teheran, Brown ha detto di avere chiesto agli altri leader europei che "siano inasprite le sanzioni contro l'Iran", mentre Bush ha spiegato che "sarebbe da sprovveduti sottovalutare il programma nucleare dell'Iran e pensare che non trasferirebbero le conoscenze acquisite dal campo civile a quello militare. Gli sforzi diplomatici continuano, ma è ora di confrontarsi con la minaccia rappresentata dalle scelte dell'Iran".