{{IMG_SX}}Bologna, 24 novembre 2008 - Una vita spesa per i diritti umani. Anni trascorsi in giro per il mondo a raccogliere informazioni, documenti e immagini per portare alla ribalta dei media luoghi e storie di vite violate. Milena Kaneva, giornalista e documentarista di fama mondiale ci racconta la sua storia e il suo impegno. "Una missione", come la definisce lei, quasi con un certo imbarazzo. Quasi a non voler sembrare eccessiva nel descriversi. Milena è nata in Bulgaria. A 25 anni, nel 1987, scappa dal regime comunista e viene a vivere in Italia. "Il vostro Paese mi ha permesso di diventare libera cittadina del mondo", dice. "Venendo nell'Ovest sentivo che realizzavo un sogno anche per gli altri, per chi era rimasto. Ma ho sempre avuto la sensazione di essere stata privilegiata - spiega -, perciò mi sono sentita in dovere di narrare realtà non conosciute, di essere portavoce di chi la voce non ce l'ha. In Bulgaria la libertà di stampa non esisteva, così il mio sogno è sempre stato quello di fare la giornalista". E così è andata.

 

Milena ha lavorato a lungo come free lance per l'agenzia Wtn, realizzando reportage esclusivi dall'Africa, dall'Asia e dal Sudamerica. "Ho sempre scelto le storie seguendo il mio credo e la mia passione - dice -. Spesso quando partivo non erano convinti che quello che cercavo interessasse al pubblico, ma io ho sempre preso l'aereo, comunque. Andavo e quando tornavo le storie le accettavano".

 

Esclusiva la sua intervista del 1995 ad Aung San Suu Kyi, il Premio Nobel tenuto agli arresti domiciliari dalla dittatura militare in Birmania. Per raggiungerla dovette inventare un escomatage che non ci vuole svelare: "Sono segreti a cui tengo". Nel 2000 ha prodotto il suo primo lungometraggio, 'L'apertura', sulla mutilazione genitale femminile in Mali, e ha vinto il primo premio al Festival dei Due Mondi. Ma è sulla Birmania che si è concentrato il suo lavoro negli ultimi anni. "Sono diventata curiosa di questo Paese dopo aver letto 'Freedom from fear' di Aung San Suu Kyi, è cominciato tutto da lì".

 

Milena Kaneva si convince allora a fare un film sulla Birmania, ma non può tornare nel Paese. Decide perciò di concentrare le sue inchieste sulla minoranza Karen, sulla sua battaglia contro le compagnie petrolifere Total e Unocal (impegnate nella costruzione di un gasdotto) da un lato, e contro il regime birmano dall'altro. Con il materiale raccolto in sette anni (anche nella giungla tailandese, al confine con la Birmania) la Kaneva realizza un documentario, 'Total Denial', nel quale racconta la lotta che quindici contadini sono riusciti a portare fino ai tribunali di Stati Uniti, Francia e Belgio. Per il film ha vinto il premio speciale Vaclav Havel per i diritti umani nel 2006.

 

Adesso Milena Kaneva sta lavorando a 'Freedom from fear', “non poteva chiamarsi diversamente”, incentrato sulla lotta non violenta dei monaci buddisti birmani. "Loro non si vogliono immischiare nella vita politica - ci dice - ma hanno il dovere di difendere la popolazione". Un'anticipazione di quest'ultimo documentario è stata presentata a Cannes, ora la Kaneva sta preparando il lungometraggio con il materiale raccolto nel 1995. Il narratore è una guida spirituale 81enne, arrestato e torturato dal regime, fondatore della International Burmese Monkd Organisation. Le prime immagini sono già visibili sul sito www.freedomfromfearfilm.com.

 

Si tratta di una pagine web della Mk Productions, fondata dalla Kaneva per produrre i suoi documentari, che ospita anche il materiale di Total Denial (www.totaldenialfilm.com). Due siti internet, una storia. Quella di una Birmania tenuta sotto scacco.