Bangkok, 6 dicembre 2010 - Media e blog divisi in Thailandia dopo il rifiuto della sorella di Fabio Polenghi, il fotografo italiano ucciso negli scontri del maggio scorso a Bangkok, di attendere alla cerimonia del compleanno del re Bhumibol Adulyadej, tenutasi lo scorso fine settimana a Bangkok.

La risposta dura di Elisabetta e le sue rivelazioni su come le autorità di Bangkok si stanno muovendo sette mesi dopo la morte di Fabio, sono state commentate in articoli apparsi su diversi media locali, tra i quali Prachatai, Thai Rath, Voice TV, The Manager e Matichon.

Articoli bilanciati, ai quali hanno fatto seguito reazioni che hanno sottolineato le divisioni esistenti in Thailandia. I lettori del ‘The Manager’, gruppo mediatico molto vicino alla Corona, hanno ad esempio insultato Elisabetta, scrivendo che il fratello, come gli altri giornalisti, era consapevole dei rischi e che quindi non c’è di che lamentarsi.

La posizione di Elisabetta è stata invece sostenuta in diversi blog, tra i quali Siam Voices e Bangkok Pundit.

Nella sua lettera inviata il 2 dicembre all’ambasciatore della Thailandia a Roma Somsakdi Suriyawongse, oggi pubblicata nel blog italiano ‘Le Terre Sotto Vento', Elisabetta Polenghi ha rifiutato l’invito del re e sottolineato come l’amarezza per il silenzio sulla morte di Fabio "è acuita dal vostro invito, dal quale si evince chiaramente che non vi è da parte vostra una corretta percezione della gravità della situazione che i miei cari e io stiamo vivendo".

Elisabetta, che guida una campagna per arrivare alla verità su come Fabio sia morto, ha aggiunto che sarebbe impossibile per lei e la sua famiglia partecipare all’83esimo compleanno del re "trovandoci ancora senza risposte addirittura riguardo agli effetti personali di Fabio."

"Ancora più grave - ha aggiunto la donna - è che da parte delle istituzioni thailandesi non sono mancate le offerte di risarcimento economico". La famiglia Polenghi ha ritenuto tali offerte "assolutamente inopportune e percepite come un tentativo di chiudere le nostre bocche e ripagare la dignità di Fabio e nostra con un po' di denaro".

In uno studio indipendente pubblicato lo scorso luglio il ‘Committee to Protect Journalists’ (Cpj) ha detto che le forze di sicurezza thailandesi e i dimostranti delle Camicie Rosse hanno agito in maniera "irresponsabile" durante le proteste e sono corresponsabili per la morte di Fabio e Hiro Muramoto, oltre che del ferimento di altri nove repoter.

Il Cpi ha comunque accusato il governo di aver "fatto poco per portare i colpevoli in tribunale". Bangkok ha istituito una commissione indipendente per indagare su quanto avvenuto, ma il mandato della commissione non prevede la possibilità di decidere chi ha infranto la legge. Il governo sostiene che i soldati hanno sparato per autodifesa e che le misure attuate per controllare i dimostranti erano in accordo con gli standard internazionali. Il Cpj, sulla base delle testimonianze raccolte da giornalisti e tenendo conto di altre indagini indipendenti, contesta la tesi del governo e sostiene che vi sono state molte infrazioni, oltre che casi di "soldati che hanno sparato in modo indiscriminato contro la folla".