Roma, 17 gennaio 2011 - «GRAZIE all’Aeronautica abbiamo fatto una sacrosanta guerra di liberazione di uno Stato occupato e oppresso, una guerra della quale siamo ancora fieri. Io vorrei solo che questo fosse riconosciuto». Venti anni dopo parla il colonnello Gianmarco Bellini. Era alla cloche dell’unico Tornado italiano che riuscì a bombardare un deposito di munizioni nella prima notte del conflitto per la liberazione del Kuwait invaso dagli iracheni. Era il 16 gennaio 1991. Furono abbattuti dalla contraerea. Rimasero in mani nemiche per 47 giorni. Bellini, 53 anni, era maggiore. Il suo navigatore era il capitano Maurizio Cocciolone, 49 anni, adesso suo pari grado. Anche lui è rimasto in Aeronautica. Nel 2005 è stato mandato in missione a Herat, in Afghanistan.


Che cosa vorrebbe, colonnello?
«Assieme ad altri abbiamo partecipato a un conflitto che non è costato un grande numero di vite, a differenza di un’offensiva solo terrestre. La forza aerea dà equilibrio allo strumento militare e riduce il rischio del prolungarsi delle ostilità. Sembra che ce ne siamo un po’ dimenticati».


In che senso?
«Nei nostri documenti caratteristici individuali non se ne parla. Risulta solo un’operazione sotto l’egida dell’Onu. Lo sa che cosa c’è scritto a proposito dei 47 giorni di prigionia?».


Onestamente no.
«Che in quel periodo ero a disposizione del mio comandante. Idem per Cocciolone. Una chiara ingiustizia nei confronti nostri e di tutti quelli che hanno rischiato la pelle. E anche nei confronti dell’Aeronautica».


È come se quello che avete fatto fosse rimasto sottotraccia.
«A differenza degli altri militari che hanno liberato il Kuwait, non abbiamo sfilato per le strade di New York. Eppure anche grazie a noi i soldati che ora sono in Afghanistan sono sottoposti al codice militare di guerra e non a quello di pace. Poter dire che ho partecipato a un’azione di guerra, e che sono stato ferito, mi darebbe qualche punto in più».
 

Può spiegare meglio?
«Alcuni miei colleghi di corso sono diventati generali già nel 2007. Io e Cocciolone siamo ancora colonnelli. Nel 2009 il ministero ha risposto picche a una mia richiesta. Ho presentato un ricorso al Tar che è stato respinto per un cavillo formale. Il sottosegretario alla difesa Giuseppe Cossiga mi ha assicurato che il governo ha già preso un’iniziativa nel senso che auspico. Io ci conto e gli credo».


Dove lavora adesso?
«Al comando Nato di Bagnoli, presso il Direttorato per la cooperazione militare. L’ultimo mio incarico all’estero è stato in Etiopia: sei mesi fra il 2009 e il 2010 di assistenza dell’Alleanza Atlantica all’Unione Africana per l’operazione di pace in Somalia».


Quando andrà in pensione?
«Fra nove mesi».