NESSUNO può rallegrarsi di una guerra civile, né escludere che i popoli islamici si convertano all’amore della democrazia e dei diritti umani. O che i cani, stanchi di abbaiare, prendano gusto a esprimersi con seducenti miagolii. Bisogna sempre lasciare spazio ai buoni sentimenti e all’irruzione del miracolo, anche in politica. Ma un conto è la fede nei miracoli possibili, un altro è mettersi a gridare al miracolo prima che l’evento abbia dispiegato i suoi effetti. Meglio tendere l’orecchio per captare l’eventuale miagolio canino, quando si manifesti, e aspettarsi il peggio dalle piazze in rivolta, in attesa di verificare, alla prova dei fatti, il reale fondamento dell’inclinazione all’ottimismo, per cui ogni cambiamento è volto al bene. Dispiace notare che l’orrore per i massacri e la naturale preferenza per il lieto fine dei drammi della storia, offusca la capacità di visione, al di là del verosimile e del sopportabile. Tant’è che perfino l’insospettabile Massimo D’Alema è stato severamente redarguito dai suoi compagni per aver espresso la speranza di riforme ragionevoli in Libia, senza accompagnarla dalla prescritta giaculatoria sulla necessità che il “matto di Tripoli” tolga il disturbo senza azzardarsi a resistere alla santa violenza islamista. Probabile che D’Alema, non diversamente dal suo arcinemico Berlusconi (linciato perché ha scelto di tacere), abbia fatto due conti realizzando quanto l’Italia abbia da perdere dalla caduta di un referente politico che dà continuità all’esportazione del “made in Italy” per l’equivalente della montagna di miliardi costituita dal costo del 23% circa delle nostre importazioni di petrolio e gas.
Se non è già caduto, Gheddafi cadrà, se il suo Dio gli ha tolto la “baraka”, cioè quella sorta di benedizione su cui ha fin qui fatto assegnamento. Solo che prima di concederci il piacere di spintonare il despota di turno, è prudente valutare quanto verrà a costarci, in termini di affari e di sicurezza. E magari anche quanto contano di guadagnare dalla nuova spartizione della torta delle commesse, i nostri famelici concorrenti. Per giunta, il controllo della sponda nordafricana è essenziale per allentare la pressione migratoria dei disperati africani sul condominio europeo e sulla sua portineria italiana.

INOLTRE, come non vedere che il ribaltone dell’Islam cosiddetto moderato realizza i più spigliati sogni di Osama bin Laden e della sua rete terroristica? E che, di conseguenza, Italia e Europa possono fin d’ora considerarsi ostaggio dell’improbabile capacità di autocontrollo di fanatici dediti ai sacrifici umani? Il tripudio manierato di chi crede in cambiamenti necessariamente volti al bene, e che l’effetto domino travolga fatalmente anche gli ayatollah di Teheran, gran lapidatori di adultere, riporta alla memoria le pressioni occidentali per disporre lo Scià a far buon viso all’avvento al potere di preti fanatici votati allo sterminio. Uno stupido errore, paragonabile alle pressioni dei benpensanti sul presidente Hindemburg perché riconoscesse la vittoria elettorale di Hitler, invece di schiacciarlo in culla con i poteri di emergenza previsti dall’art.48 della Costituzione di Weimar. O alle virtuose proteste dei buoni democratici per la decisione dei militari di Algeri di stroncare il fondamentalismo, benché suffragato dalla prova delle urne. Tutto considerato, forse D’Alema converrà con il povero Pajetta, comunista non ipocrita, che paragonava la democrazia a un minestrone fatto di più teste di cavolo.