Tripoli, 5 marzo 2011 - Gli insorti libici hanno annunciato di aver respinto anche la seconda offensiva sferrata in giornata dalle forze fedeli a Muammar Gheddafi contro Zawiyah, loro testa di ponte nella parte occidentale del Paese, situata appena 40 chilometri a ovest di Tripoli: la rivendicazione non ha trovato riscontro da fonti indipendenti, ma stando a diverse testimonianze le decine di mezzi corazzati impiegati dai governativi sarebbero arretrati attestandosi alla periferia, dopo aver messo a ferro e fuoco il centro urbano sparando all’impazzata persino sulle abitazioni civili. Un primo attacco era stato ricacciato indietro in mattinata, anche se gli oppositori del regime avevano subito solo in tale occasione circa trenta perdite, su un totale che si dice superi le duecento unità.

"Dopo l’assalto del mattino sono ritornati ad attaccare", ha ricostruito un portavoce dei rivoltosi, Youssef Shaghan. "Sono entrati in città da ovest e hanno cominciato a tirare razzi contro gli edifici che si affacciano sulla piazza principale. Noi però siamo in una buona posizione", ha sottolineato, per poi concludere: "Pensiamo che nella notte attaccheranno di nuovo". Prima di ritirarsi i lealisti avrebbero portato via civili morti e feriti: alcuni per passarli per le armi a mò di esempio per gli altri, i più semplicemente per nasconderli a sguardi indiscreti e poter negare di essere responsabili di una ennesima carneficina.

Frattanto un giornalista presente a Ras Lanuf, il centro petrolifero della Cirenaica conquistato ieri sera dagli insorti, ha riferito di aver potuto vedere di persona la carcassa annerita di un caccia che i ribelli sostenevano di aver abbattuto: l’uomo, Mohammed Abbas, ha precisato che all’interno della carlinga erano visibili i cadaveri di pilota e co-pilota, entrambi con il volto a brandelli, quasi come se fosse stato loro strappato via. Abbas ha aggiunto che gli è anche stato mostrato il passaporto che sarebbe appartenuto al comandante dell’aereo, emesso in Sudan: il documento sembrerebbe dunque un’ulteriore prova del ricorso a mercenari da parte del regime di Gheddafi; tuttavia, dalle annotazioni il possessore risulterebbe essere stato un comune contabile.

LA BATTAGLIA DI ZAWIYAH - Una quarantina di mezzi corazzati sono entrati a Zawiyah e hanno aperto il fuoco su folla e abitazioni, dirigendosi verso la Piazza dei Martiri, nel centro della località finora controllata dai ribelli. "Ci sono carri armati dappertutto, e stanno aprendo il fuoco sulle case", ha denunciato uno degli abitanti della cittadina, raggiunto telefonicamente da Bengasi, roccaforte dell’insurrezione. "Ne ho appena visti sette accelerare sotto alle mie finestre, e il bombardamento prosegue senza sosta. Pregate per noi", ha mormorato l’uomo, prima che la linea cadesse di colpo. Un altro testimone oculare, un medico, al telefono ha raccontato di essere "intrappolato in mezzo al fuoco" delle artiglierie.

Dopo aver aperto il fuoco sulle abitazioni, i carri armati avrebbero preso a "bombardare una moschea con centinaia di civili che avevano cercato rifugio all’interno": lo ha denunciato Abu Aqeel, un altro abitante. Raggiunto telefonicamente, l’uomo ha aggiunto: "Non possiamo correre in loro soccorso, perché il bombardamento è troppo intenso". Fonti mediche locali nel frattempo hanno precisato che sarebbero almeno trenta le persone rimaste uccise soltanto nel corso dei combattimenti della mattinata di oggi, cui poi è seguita l’ennesima offensiva dei governativi, tuttora in corso.

Sono dunque oltre 200 i morti (miliziani ribelli ma anche civili) tra ieri e oggi nei combattimenti con le forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi. A fornire il dato è la tv satellitare Al Jazira. Secondo il direttore del centro informazione dell’opposizione, a Bengasi, Mohammed Salem Mussa, altre 300 persone sono rimaste ferite e nella città, situata ad appena una cinquantina di chilometri da Tripoli, "i violenti combattimenti proseguono".

A Bengasi è di almeno 32 morti, forse 34, il bilancio ancora provvisorio della duplice esplosione che ieri sera ha distrutto il deposito di armi presso la base militare di Rajma: lo hanno riferito fonti ospedaliere, secondo cui "ci sono ancora problemi nello stabilire il numero esatto delle vittime, perché molti corpi sono stati fatti a pezzi" dal susseguirsi delle onde d’urto.

PARTITA LA NAVE ITALIANA - "È salpata dal porto di Catania intorno alle 17.50 il pattugliatore 'LibrA' della Marina Militare italiana che trasporta aiuti umanitari destinati a Bengasi, in Libia. La nave dovrebbe raggiungere destinazione dopo una trentina di ore di navigazione.

IL FRONTE DIPLOMATICO - Al 18esimo giorno di sommossa, i rivoltosi continuano anche ad avanzare lungo la costa, con l’intento di “avanzare poco a poco nella loro direzione per spingerli ad arretrare”. Da parte sua, il leader libico Gheddafi ha lanciato un contrattacco anche sul fronte diplomatico, inviando una lettera alle Nazioni Unite in cui ha chiesto che le sanzioni approvate la scorsa settimana contro Gheddafi e i suoi fedelissimi siano “sospese fino a quando non verrà accertata la verità”.

Ieri, è intervenuta anche l’Interpol, lanciando un allerta alle polizie mondiali su Gheddafi e altri 15 libici, per denunciare il “pericolo rappresentato dagli spostamenti di questi individui e dei loro asset” e chiedere collaborazione nell’applicazione delle sanzioni.

Il vice-ministro degli Esteri, Khaled Kaaim, ha dichiarato che “a Zawiyah tutto è tornato alla normalità”, aggiungendo che la popolazione si è ribellata ai “terroristi” con il sostegno dell’esercito. Da parte sua, un attivista politico locale, Mohammad Qassem, ha smentito ad al Jazeera che la città sia caduta in mano al regime, ma ha ammesso che le forze di sicurezza hanno circondato il centro abitato. Pesante anche il bilancio delle vittime nell’Est del Paese, definito come “problematico” da una fonte governativa libica.

Intanto il Consiglio di Sicurezza del'Onu ha chiesto al Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia di indagare su quanto accaduto in Libia dal 15 febbraio scorso, per verificare se gli interventi del regime contro i manifestati possano configurarsi come crimini contro l’umanità. Secondo la Lega libica per i diritti umani, la repressione ha causato finora 6.000 morti.

Tripoli ha contestato alle Nazioni Unite di aver adottato la risoluzione “in base ai resoconti di giornali stranieri e di informazioni di stampa, piuttosto che su fatti documentati e verificati da una commissione di indagine indipendente”. Nella lettera, il regime ha inoltre precisato che la forza è stata utilizzata “contro persone che violavano la legge... che hanno sfruttato altre persone per commettere azioni di distruzione e terrorismo”. “Dall’inizio della crisi, sono state impartite istruzioni rigorose perché venisse impiegata la massima moderazione in risposta alle provocazioni - si legge ancora nel documento - le autorità libiche vogliono condurre un dialogo nazionale allargato e le parti interessate sono impegnate nei preparativi di tale dialogo, che comincerà appena possibile”.

IL TESORO DE RAIS -  Mentre infuriano gli scontri in Libia tra i manifestanti e le truppe fedeli a Muammar Gheddafi, un’altra battaglia è appena cominciata: quella sul fondo sovrano libico e sulle attività finanziarie da 70 miliardi di dollari che fanno capo al colonnello.
Il fondo rappresenta una grande torta - rileva il New York Times - fatta di denaro contante e di partecipazioni all’interno di alcune società d’elite europee, come l’editore britannico Pearson e il club di calcio Juventus.

E’ stato aperto nel 2006 da Saif al Islam Gheddafi, un tempo considerato il riformatore della famiglia, che ha utilizzato il fondo come una sorta di biglietto da visita personale. L’ha gestito con lo sguardo rivolto al futuro, nel caso in cui la Libia fosse risultata pronta ad aprirsi all’Occidente. Ma se ne è servito soprattutto per portare nella sua orbita una serie di figure molto potenti, come la famiglia Rothschild, il principe Andrea d’Inghilterra, l’ex Commissario europeo al commercio Peter Mandelson, gli investitori di private equity americani Stephen A. Schwarzman, di Blackstone, e David M. Rubenstein, del Gruppo Carlyle, oltre alla crema della società imprenditoriale italiana.

Gli Stati Uniti hanno fatto sapere che intendono congelare qualsiasi partecipazione riconducibile alla autorità libica, che risulti controllata dalle istituzioni americane, anche se non sono ancora state identificate le banche e le partecipazioni nel mirino. Il Regno Unito ha dichiarato che sarà impedita la vendita o il rimpatrio delle attività finanziarie gestite da Gheddafi, comprese le azioni Pearson e un piccolo portfolio di attività commerciali, nel settore immobiliare, con base a Londra.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, oltre al fondo la banca centrale della Libia ha riserve pari a circa 110 miliardi di dollari, che le conferiscono una posizione finanziaria netta vicina al 160 per cento del prodotto interno lordo nazionale.