Roma, 28 marzo 2011 - Videoconferenza a quattro fra il presidente americano Barack Obama, quello francese Nicolas Sarkozy, il primo ministro britannico David Cameron e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, alla vigilia del summit di Londra, cui parteciperanno i Paesi intervenuti in Libia. L'Elisoe ha reso noto che i quattro capi di Stato hanno discusso dell'applicazione della risoluzione 1973 dopo il trasferimento da parte degli Stati Uniti del comando delle operazioni alla Nato. Hanno anche ''espresso sostegno alla conferenza che si svolge domani a Londra e che deve riunire la comunita' internazionale a sostegno della transizione politica in Libia''. Nell'incontro in videoconferenza si è parlato anche ''del sostegno al processo di transizione in Egitto e della necessità di rilanciare il processo di negoziato israelo-palestinese''

FRATTINI - L'Italia “non sente affatto la sindrome dell’esclusione”. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, commentando la mancata partecipazione dell’Italia alla videoconferenza. Che il governo di Roma non abbia partecipato, ha spiegato lo stesso titolare della Farnesina ospite della trasmissione ‘Otto e mezzo’ in onda su La7, non rappresenta “uno schiaffo” al governo italiano. “L’Italia”, ha detto Frattini, “ha voluto la missione della Nato e ha ottenuto il comando della missione navale della Nato, ospita a Napoli il comando generale dell’intera missione della Nato”. Certamente “di sindrome di esclusione non ne soffriamo”, ha proseguito Frattini, “basta avere un minimo di riflessione serena per capire che coinvolgere la Germania, come io stesso ho cercato di fare ieri trasmettendo delle idee con i colleghi tedeschi, era ed è indispensabile”.


Secondo Frattini, nella videoconferenza "non stanno decidendo niente", ma si tratta di colloqui per "coinvolgere" la Germania che ha deciso di non partecipare alla missione nel Paese nordafricano. “Ci auguriamo che i tre leader persuadano la Merkel che e’ meglio essere a bordo con noi nella missione, non credo ci riusciranno”. Il titolare della Farnesina ha poi sottolineato il ruolo dell’Italia nella missione, con il comando della componente navale per l’embargo. Parlando delle prossime mosse in Libia, Frattini ha detto chieramente che “l’invio di truppe di terra oggi sarebbe impossibile”, spiegando che “questo la Risoluzione Onu lo esclude”. Per Frattini, “non possiamo mandare truppe di terra nel cuore del mondo arabo”.

 

I RIBELLI PUNTANO A SIRTE - Prosegue l’avanzata verso ovest dei ribelli libici che puntano su Sirte, città natale di Muammar Gheddafi e baluardo del regime sulla strada fra Bengasi a Tripoli. In mattinata un portavoce dei ribelli ha annunciato la conquista della città, ma poco dopo un gruppo di giornalisti arrivati a Sirte su invito del governo ha fatto sapere che in città non si combatte e non c’è ancora traccia degli insorti.

Questi ultimi sarebbero stati respinti all’uscita da Ben Jawad, 140 chilometri a est di Sirte.  Protetti dagli attacchi aerei occidentali, i ribelli hanno comunque già riconquistato molte città, tra cui i principali terminal petroliferi nell’est: Es Sider, Ras Lanuf, Brega, Zueitina e Tobruk. Secondo Al Jazira, i ribelli hanno preso il controllo anche della città di Nawfaliyah, circa 120 chilometri dall’aeroporto di Sirte. Luogo di nascita di Gheddafi e sede di un’importante base militare, Sirte ha un grande valore simbolico e strategico.

Un portavoce dei ribelli a Zintan ha riferito che la città della Tripolitania è stata colpita da missili sparati dalle forze di Gheddafi. Sul piano diplomatico, la Russia, che si è astenuta nella votazione del 17 marzo all’Onu, ha sottolineato che gli attacchi occidentali alle forze di Gheddafi equivalgono a schierarsi con i ribelli.

"Consideriamo questo intervento della coalizione - sono parole di Serghei Lavrov - per quello che essenzialmente è, vale a dire un intervento all’interno di una guerra civile che non è previsto dalle Nazioni Unite". Ma il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, si è limitato a rispondere: "Siamo lì per proteggere i civili, nè più nè meno".

Intanto il Qatar, che contribuisce con due aerei alla coalizione, ha riconosciuto il Consiglio Nazionale Libico come unico rappresentante del popolo libico, in linea con quanto già deciso da Mosca. Il premier turco, Recep Tayyp Erdogan, si è offerto di mediare un cessate-il-fuoco per evitare che il Paese si trasformi in "un secondo Iraq" o "in un nuovo Afghanistan". La Turchia, nel frattempo, gestirà l'aeroporto di Bengasi, roccaforte della ribellione libica.

E in attesa del discorso di Barack Obama, che nella notte italiana parlerà alla nazione proprio sulla situazione libica, gli occhi sono puntati sulla conferenza di domani a Londra, a cui parteciperanno i capi delle diplomazie di 35 Paesi. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha detto che il "dovere istituzionale è eliminare le distanze e trovare una soluzione condivisa", "non solo tra Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, ma con tutti". E di sicuro, ha aggiunto, l’ipotesi di una Libia divisa in due, con la Cirenaica in mano agli insorti e Muammar Gheddafi "asserragliato" in Tripolitania sarebbe "molto grave", equivarrebbe al "fallimento" dell’attuale missione.

I VESCOVI: "ISLAMICI TEMONO CROCIATA" - "La guerra non risolve niente e, quando scoppia, e altrettanto incontrollabile quanto l’esplosione di un reattore nucleare. E le prime vittime sono sempre i più poveri e i più svantaggiati".

Lo affermano i vescovi del Nord Africa in un documento, diffuso dall’agenzia vaticana Fides, che mette in guardia l’Occidente dai rischi dell’azione militare contro la Libia di Gheddafi. Secondo i presuli, "che lo si voglia o no, la guerra nel Vicino Oriente, ed ora nel Maghreb, sarà sempre interpretata come una crociata", "E questo - spiegano i vescovi - avrà conseguenze inevitabili sulle relazioni conviviali che cristiani e musulmani hanno intrecciato e continuano a intrecciare nel quotidiano".

I Vescovi della Conferenza Episcopale Regionale del Nord Africa chiedono invece "una mediazione diplomatica" e lanciano un appello all’aiuto umanitario. "Preghiamo l’Altissimo perchè ispiri i responsabili delle nazioni a trovare il cammino che conduce verso la Giustizia e la Pace" conclude il comunicato.

"Ora che il vento di cambiamento attraversa la Libia - scrivono - noi ci uniamo in maniera particolare ai nostri fratelli Vescovi di Tripoli e di Bengasi, e a tutte le popolazioni del Paese".

UN'ALTRA REGIONE PRONTA A RIBELLARSI - La regione libica del Jebel Nefusa ha costituito un consiglio provvisorio locale ed è pronta a rivoltarsi contro Gheddafi. Lo ha affermato lo storico Angelo Del Boca durante un’intervista a Radio Popolare. Del Boca ha rivelato di essere in possesso di un documento ufficiale arrivatogli dalla Libia.

“Tutte le popolazioni del Jebel Nefusa, la zona a sud di Tripoli - che si estende fino al confine tunisino e che comprende le città di Nalut,Kabah, Jado, Jefrem e altre - si sono riunite ieri e alla fine della riunione di tutte le rappresentanze di queste città hanno rilasciato un documento firmato a Jado”, ha spiegato Del Boca.

“Nel documento si afferma di volere la fine del regime tirannico di Gheddafi e a tale scopo di creare un consiglio locale transitorio, sotto la direzione del consiglio provvisorio di Bengasi”, ha precisato lo storico “Potrebbe essere determinante per la caduta di Gheddafi”, ha commentato Del Boca, “perché si tratta di popolazioni storicamente ostili a Gheddafi che venivano costantemente bombardate dall’aviazione di Gheddafi. Questo documento significa che sono pronti a rivoltarsi contro il regime e che non temono più le rappresaglie di Gheddafi”.

RIMORCHIATORE - La compagnia armatrice del rimorchiatore Asso 22, la Augusta, che ha sede a Napoli, conferma sostanzialmente quanto Frattini ha detto stamane a ‘Unomattinà: «L’equipaggio sta bene e viene trattato bene dal picchetto militare di guardia che si trova a bordo dell’unità.

Certo, il rimorchiatore si trova nel cuore di un teatro di guerra e questo non permette di essere del tutto tranquilli. I nostri marittimi possono, ogni tanto, quando gli è permesso dai militari, mettersi in contatto con i loro familiari. Continuiamo a sperare in una soluzione positiva della vicenda, cosa per la quale il governo italiano si sta impegnando».