Washington, 19 luglio 2011 - "Credo che abbiamo agito in maniera veloce e decisiva". Lo ha affermato l'ex direttore di News International, Rebekah Brooks davanti alla Camera dei comuni. "Sono le nostre prove - ha detto - che hanno aperto la inchiesta del 2011. Abbiamo seguito molte indagini interne. Abbiamo ammesso le responsabilità civili e abbiamo cercato di patteggiare dove si poteva".

"Abbiamo scoperto quello che succedeva a News of the World solo alla fine del 2010 quando sono stati posti alla nostra attenzione i documenti attinenti al caso delle intercettazioni di cui era stata vittima Sienna Miller”. La Brooks ha unito le sue scuse a quelle pronunciate poco prima da Rupert Murdoch.


“Quello che e’ successo a News of the World è stato terribile e abominevole” ha detto. Riguardo all’uso degli investigatori privati, l’ex direttrice, ora agli arresti domiciliari, ha spiegato che è prassi comune in Fleet Street, un sinonimo di mondo dell’informazione.  Quella di chiudere il News of the World e’ stata una “decisione collettiva”.

Davanti alla commissione parlamentare, Rebekah ha negato di aver mai pagato né autorizzato il pagamento di un poliziotto. Alla domanda di un deputato, che chiedeva se la pratica di retribuire gli uomini di Scotland Yard fosse diffusa tra i giornali o limitata a quelli di News International (la divisione britannica della News Corporation di Rupert Murdoch), l’ex direttore del News of the World ha risposto che, per la sua esperienza, le informazioni ottenute dalla polizia arrivavano “free of charge”, vale a dire gratis.

L’ex direttore esecutivo di News International si e’ augurata che l’inchiesta sulle intercettazioni illegali “possa andare avanti” per “accertare la verita’”. La Brooks, ora libera su cauzione, ha nuovamente espresso il proprio rammarico per il dolore provato dalle vittime, in particolare dalla famiglia della tredicenne Milly Dowler (‘’Ho saputo che il suo cellulare era stato violato solo due settimane fa’’) e si è offerta, “quando sarò libera”, di poter rispondere nuovamente alle domande della Commissione dei Comuni.
 

LO SQUALO LASCIA? - Intanto, mentre il gruppo di hacker LulzSec ha attaccato alcuni siti di News Corporation annunciando la falsa morte del magnate australiano, il Wall Street Journal ha rivelato che Murdoch starebbe valutando da oltre un anno l’opportunità di lasciare il suo incarico, passando le funzioni di amministratore delegato a Chase Carey, attuale chief operating officer del gruppo. “In virtù di questo scenario, Murdoch resterebbe come presidente”, ha riferito il quotidiano finanziario, citando fonti vicine al dossier. Il gruppo ha già perso un miliardo di dollari dall’inizio dello scandalo. 

Sulla vicenda si allunga l’ombra della morte di Sean Hoare, cronista ‘pentito’ della scuderia Murdoch, trovato senza vita nella sua casa a Watford. Una morte “non sospetta”, secondo Scotland Yard, che non esclude il suicidio (il reporter, il primo a coinvolgere nello scandalo l’ex portavoce di Cameron, Andy Coulson, aveva problemi di droga e alcool). Ma un amico del cronista ha raccontato che Hoare viveva da recluso nel terrore che “qualcuno del governo lo venisse a prendere”. 
 

CAMERON -Lo scandalo minaccia di coinvolgere in prima persona anche il premier, David Cameron, dopo la frecciata lanciata ieri da Paul Stephenson al primo ministro che ha tirato in ballo Andy Coulson, l’ex direttore di News of the World, ma soprattutto ex portavoce di Cameron fino al gennaio scorso, arrestato nel corso delle indagini. Il messaggio al primo ministro, secondo quanto scritto ieri dal quotidiano ‘The Guardian’, è chiaro: “Io mi assumo le mie responsabilità, ma tu?”. Lo scandalo delle intercettazioni che rischia di travolgere non solo l'impero di Rupert Murdoch ma anche il governo britannico, "e' un grosso problema". Lo ha ammesso parlando da Lagos il primo ministro, David Cameron, che pero' si e' detto certo che "tutto si risolverà".

L'EX NUMERO UNO DI SCOTLAND YARD - Le audizioni oggi hanno coinvolto anche i vertici di Scotland Yard. La polizia deve cambiare il modo in cui si rapporta con i media ha dichiarato l’ex capo di Scotland Yard, Sir Paul Stephenson. Alla domanda sul perché abbia avuto 18 pranzi o cene con News of the World tra il 2005 e il 2010, e sette od otto con Neil Wallis, ex vicedirettore del tabloid prima di essere assunto, nel 2009, come addetto alle pubbliche relazioni di Scotland Yard, Stephenson ha dichiarato che il capo di Scotland Yard deve incontrare i media. Quindi ha aggiunto: “Dobbiamo cambiare il mondo in cui lo facciamo”.


L’ex capo della polizia britannica ha poi ricordato il ruolo dominante sul mercato del gruppo editoriale di Rupert Murdoch, News International, giustificando così il numero dei suoi incontri. “Nel 2010, il 17% dei miei contatti con la stampa era con News of the World e il 30% con News International - ha precisato davanti alla Commissione - possono sembrare dei numeri esagerati, ma News International ha il 42% dei lettori. Se bisogna avere un rapporto con la stampa... Non fui io a decidere di consentire a News International di avere tanto potere”. 

Anche il portavoce di Scotland Yard, Dick Fedorcio, e’ stato deferito alla Police Complaint Commission, che sta conducendo un’indagine interna sulla vicenda

ANCHE IN USA PRONTA INCHIESTA SU NEWS CORPORATION - La News Corporation di Murdoch rischia di dover affrontare non solo lo scandalo delle intercettazioni illegali del News of the World in Gran Bretagna, ma una serie di inchieste in tutto il mondo per accertare se altre testate del gruppo indulgessero nelle stesse pratiche. Come riporta il quotidiano britannico The Guardian infatti crescono le pressioni negli Stati Uniti per l’apertura di un’inchiesta sulla base della legge sulle pratiche illegali all’estero, che impone la consegna di tutti i documenti legali pertinenti, compresi quelli coperti dal segreto confidenziale fra legale e cliente. Il Dipartimento della Giustizia ha già confermato che è stata aperta un’inchiesta preliminare; per tutta risposta Murdoch starebbe preparando un team legale di tutto rispetto capitanato da Brendan Sullivan, l’ex difensore del colonello Oliver North nel processo Iran-Contra.