Roma, 22 ottobre 2011 - Non si muore mai in posti nobili quando nella vita si è fatto qualcosa di ignobile. Un cortile squallido come quello di Ceausescu. Una prigione scrostata come quella di Saddam. Una strada polverosa e un camioncino lordo di sangue e sudore come quello di Gheddafi. Non c’è paura negli occhi del raìs che nuove immagini ci riportano qualche attimo prima di essere ucciso.

 

Strattonato, spinto, insultato. È scosso, stupito. Si toglie il sangue dagli occhi e lo mostra ai suoi carnefici. Sembra dire (e forse dice veramente): ma che fate? Che avete fatto? Sono Gheddafi. Appunto. Per questo ti stanno per ammazzare. Sotto un crepitare di telefonini, testimoni delle rivolte e della barbarie di questa epoca. Non bastava tutto il fiume di ipocrisia che è scorso ieri nel mondo per lavare le ferite del tiranno ucciso, sdraiato su un materasso, sorta di Che Guevara senza eroismo, ammesso che l’altro fosse un vero eroe. L’ipocrisia del mondo che nello stesso giorno prima plaude alla fine del tiranno, poi si indigna per il modo in cui ciò è accaduto e chiede spiegazioni.

 

Che si aspettava l’Onu? Una Norimberga nel deserto beduino? L’ipocrisia degli amici di pochi mesi fa, ora difensori di un popolo libico di cui aspettiamo ancora di conoscere i contorni nella confusione delle milizie combattenti, delle tribù nemiche, dei territori storicamente divisi e contrapposti. Sorta di Balcani del Nord Africa tenuti assieme dalla ferocia del colonnello.

 

L'amico Gheddafi, prima. Amico di tutti, ovviamente, mica solo di Berlusconi che semmai riesce sempre a essere (o apparire) un po’ più amico degli altri. Il cattivo Gheddafi, ora. Ma non tanto da meritare quella fine. È vero. Brutta storia se la nuova Libia parte così, con quell’uomo freddato con un colpo alla tempia in mezzo a una folla urlante e sguaiata, come tutte le folle di tutti i tirannicidi. Con Mutassim, il figlio del raìs, che si disseta appoggiato a un muro, e che poi ritroviamo già morto in una stanza squallida, piena di cianfrusaglie e di 'tricoteuses' con il tabarro e l’iphone in azione. Un altro 'incidente'? Non ci piacciono quelle immagini, e non ci piace quella gente.

 

Perché tante foto, tanti filmati, ma sempre prima e dopo, e mai durante? Perché non abbiamo il momento dell’esecuzione, il grilletto premuto, la faccia del 'giustiziere'? Riserbo? Privacy? O vigliaccheria. Perché il raìs è morto, però è sempre il raìs. Perché, come il Marchese del Grillo, lui è lui, e loro non sono niente. Anche con una pistola d’oro in pugno. Come quelli che insultavano Saddam mentre stavano per impiccarlo. Allora, onore alla Libia liberata che avrà il piacere di sperimentare le delizie di una democrazia mai conosciuta. E rispetto per quei morti. Uomini ignobili, che meritavano di morire in un modo meno ignobile.