Buenos Aires, 25 ottobre 2011 - Il comandante Simone Guli, quella mattina dell'11 ottobre del 1927, aveva un brutto presentimento. La LLoyd Adriatico aveva deciso che quel viaggio da Genova a Buenos Aires per la sua ammiraglia Principessa Mafalda sarebbe stato l'ultimo. Era stata la nave più bella e veloce che i cantieri di Riva Trigoso avessero mai varato nel 1908 e per tanti gloriosi anni di traversate aveva portato avanti e indietro ricchi argentini,uruguayani e brasiliani ammaliati dalle bellezze dell'Europa degli anni '20. Gugliemo Marconi aveva fatto esperimenti in alto mare con la radiotrasmittente, la più potenta mai montata prima su una nave, scoprendo che durante la notte le comunicazioni erano assai migliori di quelle delle ore diurne.

 

Sulla Mafalda avevano viaggiato lo scrittore italiano Pirandello, amico dello scrittore argentino Borges, e Carlos Gardel, la voce d'Argentina che divenne famosa a Parigi prima che nella sua patria e che grazie alla radio di Marconi si fece amare prima di morire, anche lui disgraziatamente, in un incidente aereo a Medellin. Tra loro, nella terza classe, c'erano sempre stati anche gli emigranti italiani. Quelli poverissimi o meno poveri che cercavano di risorgere altrove dopo la prima guerra mondiale o di sfuggire a una seconda in agguato. Così fu anche quel giorno, l'ultimo prima della sua rottamazione.

 

Al porto di Genova giunsero a decine marchigiani di Macerata decisi a lasciare la loro terra in cerca di fortuna oltreoceano dove si diceva ci fosse l'America e fare soldi era facile. Però non potevano sapere che quella Principessa Mafalda che portava il nome della secondogenita del re Vittorio Emanuele II e della regina Elena, il destino aveva, per entrambe, in serbo una bruttissima fine prima del tempo. Il comandante Guli, quella mattina d'autunno genovese, coi suoi 55 anni di età e il piglio da lupo di mare, ricacciò indietro il brutto presentimento e si mise al lavoro ben sapendo che una nave come quella non avrebbe potuto terminare la sua lunga carriera marcendo in un cantiere ligure. Alle banchine del porto si videro fazzoletti sventolare , pianti e abbracci d'addio tra le famiglie italiane. Alla fine la nave salpò con 1261 a bordo: 977 passeggeri e 287 persone d'equipaggio. Tra questi si imbarcò anche il ventenne Anacleto Bernardi, militare in servizio presso l'Armata Argentina, convalescente di una brutta polmonite presa durante una lunga trasversata conclusasi proprio a Genova.

 

Il comandante della Mafalda ci aveva visto giusto. Già a Barcellona il transatlantico dovette fermarsi un giorno intero per riparare un guasto e tutta la traversata, benchè le macchine non venissero forzate per sicurezza, contò ben otto problemi da risolvere. In pieno Oceano si viaggiava con vibrazioni da tortura ma nessuno, fino alle sette di sera del 25 ottobre, si era reso conto che la nave non ce l'avrebbe fatta ad arrivare a destinazione. Persino il comandante, quando vide le coste del Brasile e immaginava solo un giorno di viaggio in più per attraccare al porto di Rio de Janiero prima di finire il viaggio a Buenos Aires, aumentò la velocità, finché di colpo la vibrazione divenne un rumore sordo e poco dopo la nave si fermò in mezzo all'oceano. Si era spezzato un albero del motore e non passò tanto tempo che la nave cominciò ad imbarcare acqua. Il telegrafista cominciò il suo incessante Mayday. Ben sette imbarcazioni risposero alla chiamata di soccorso, la più vicina, olandese, era a sole 30 miglia di distanza e sarebbe arrivata in 20 minuti. Ma quello che accadde sulla nave appena l'equipaggio ebbe l'ordine di calare le scialuppe, fu lo stesso che accadde sul Titanic 15 anni prima: il panico fece finire più gente in acqua che sulle scialuppe.

 

Il telegrafista non mollava un momento il microfono: "Venite, venite a salvarci - supplicava - siamo preoccupati per le donne e i bambini". Loro avevano la precedenza sulle scialuppe, ma le madri non si volevano sperare dai loro piccoli quando glieli strappavano dalle baccia per caricarli sulla prima libera e così il caos regnava sovrano anche perchè nessuno impugnava pistole, i piccoli venivano legati con le corde perchè il mare non li trascinasse via e la terza classe aveva invaso il ponte rifiutandosi di scendere in acqua. Le acque tiepide delle coste brasiliane in una bella serata di primavera, a differenza di quelle gelide del Nord dove sprofondò il Titanic, non avrebbero lasciato scampo ai morsi degli squali.

 

In questa confusione, Anacleto Bernardi indossava il salvagente e stava per mettersi in salvo. Aveva già aiutato diverse persone andando a prenderle personalmente nelle cabine, chi svenuto per la paura o per la stessa paura incapace di muoversi. Il giovane stava per mettersi in salvo quando ormai la poppa era già immersa e la prua si alzava verso il cielo, ma cambiò idea al vedere un anziano italiano emigrante senza salvagente e glielo offrì. Al rimanere senza non riuscì a salvarsi ma peggio fu che i suoi compagni lo videro morire sbranato dagli squali. Erano ormai le 22 quando le navi accorse raccolsero i naufraghi terrorizzati senza avvicinarsi troppo alla Mafalda per timore che esplodessero le caldaie.

 

Dieci minuti dopo, l'agonia della Principessa Mafalda ebbe fine: il comandante Guli gettò il suo sigaro, gridò Viva l'Italia e sprofondò con la sua nave. Morirono 314 persone, secondo le notizie ufficiali riportate dai giornali italiani, mentre furono almeno il doppio per quelli argentini e brasiliani. Di fatto il numero esatto dei sopravvissuti, raccolti da diverse navi straniere, non si seppe mai. Il governo argentino onorò il marinaio eroe con una statua al porto di Buenos Aires e anni dopo gli dedicò una via che porta il suo nome nella città. Dal 1977, il 25 ottobre è ricordato in Argentina come il giorno del coscritto, in onore del marinario italiano Anacleto Bernardi.

 

A 80 miglia dalla costa brasiliana, di frontre a Puerto Seguro, la Principessa Mafalda giace a 1400 metri di profondità. Laggiù, si racconta ancora, ci sono anche cinque forzieri con 80,625 chilogrammi d'oro pari a 250.000 lire che il governo italiano aveva fatto imbarcare per offrirli al governo argentino che si era preso già tre milioni di italiani. L'oceano Atlantico, 84 anni dopo, è la tomba silenziosa per altri emigranti italiani che lo attraversarono senza mai raggiungere il Sudamerica.