Roma, 10 febbraio 2010 - "Io no". E le braccia rimasero incrociate sul petto, tra quel mare di saluti nazisti che, nella foga dell’entusiasmo o dello zelo, addirittura si incrociavano e sbattevano l’uno contro l’altro, cercando uno spiraglio, una strada verso il palco dove si celebrava una parata della Germania hitleriana. "Io no", e a quell’operaio perso nella folla degli adepti il gesto costò carissimo. "Io no", e questa fotografia scattata il 13 giugno 1936 ai cantieri navali Blohm e Voss di Amburgo, durante il varo di una nave da guerra, è un balsamo sulla coscienza tedesca, la testimonianza di una rivolta silenziosa, la prova che non tutti furono “volenterosi carnefici”.

"Io no": il frammento del versetto del vangelo di Matteo (26:33, “anche se tutti, io no”) che una delle coscienze critiche liberali della Germania del dopoguerra, Joachim Fest, scelse come titolo dell’autobiografia ricordando il padre antinazista, avrebbe potuto risuonare sulle labbra dell’operaio August Landmesser, classe 1910, l’eroe della foto. Eroe per amore: iscritto al partito nazista, ne uscì nel 1935 dopo che il municipio di Amburgo aveva rifiutato di registrare il suo matrimonio con la fidanzata rimasta incinta: la 22enne Irma Eckler, ebrea. Le leggi razziali non infransero il legame: la coppia ebbe due figlie, Ingrid nell’ottobre 1935 e Irene nell’agosto 1937. Tra una nascita e l’altra, Landmesser fu incarcerato due volte per aver “disonorato la razza”. Le bambine non ricevettero il suo cognome. Nel 1938, poiché la relazione continuava, l’operaio finì nel campo di concentramento di Börgermoor, mentre Irma fu arrestata dalla Gestapo e rinchiusa prima a Fuhlsbüttel, un lager a nord di Amburgo, poi a Oranienburg e a Ravensbrück, nomi tristemente noti dell’orrore concentrazionario nazista.

Delle figlie, la maggiore fu affidata alla nonna, e Irene a un’orfanotrofio, poi a lontani parenti. Uscito di carcere nel 1941, Landmesser fu inviato al lavoro coatto, poi sul fronte russo in un battaglione di disciplina. Dato per disperso, è probabilmente caduto il 17 ottobre 1944. Irma Eckler morì, forse il 28 aprile 1942, nell’istituto sanitario di Bernburg, dove i nazisti praticavano l’eutanasia sui malati di mente: in 14mila furono eliminati con il gas. Ed ecco che da questo allucinante racconto riemerge la figura della figlia minore, Irene Eckler. Irene, a differenza della sorella, scelse di mantenere il cognome della madre anche dopo che, nel 1951, il senato di Amburgo aveva finalmente riconosciuto il matrimonio tra i suoi genitori. La foto che vedete in questa pagina è un suo sogno, o forse un suo miraggio. L’immagine fu ritrovata nel 1991 e pubblicata da Die Zeit. Il giornale chiedeva: chi sa dirci chi è quel coraggioso che rifiuta il saluto nazista? Irene credette di riconoscere il padre. Anzi, ne fu sicura: il luogo, il cantiere di lavoro, coincidono. Che l’uomo delle foto sia davvero August Landmesser, ancora oggi non è affatto certo. Ma quello che conta è il simbolo.

Un simbolo mondiale, certo: una foto famosa che con l’avvento di internet ha ripreso a girare il mondo, riaffiorando di tanto in tanto come di recente su El Mundo. E un simbolo per la Germania di oggi: angosciata da nuove xenofobie e dal rafforzarsi dei gruppi di estrema destra, imbarazzata per quanto riemerge dagli archivi della Guerra fredda sul reclutamento e la copertura da parte di Bonn di spioni e criminali nazisti. August Landmesser è un individuo in una folla. È tutto quello che oggi ci serve. "Io no".