Roma, 19 febbraio 2012 - Sono numerose le incongruenze nella ricostruzione dei fatti fornita dalle autorità indiane riguardo all’uccisione di due pescatori indiani, attribuita dalle autorità locali a due marò italiani a bordo del mercantile Enrica Lexie.

Infatti, dalle dichiarazioni rese dalle parti coinvolte, ovvero i nostri militari, il “master” del mercantile e i pescatori - o meglio, dai funzionari di polizia locali dato che nessun riscontro giuridico è ancora venuto dalla magistratura indiana - emergono incongruenze di assoluto rilievo che fanno ritenere l’arrembaggio alla Lexie e la morte dei pescatori come due eventi separati e non connessi.

Non esiste al momento alcuna evidente correlazione tra i due eventi. In particolare, gli orari differiscono di oltre 4 ore, le posizioni di oltre 5 miglia nautiche (10 chilometri circa) e tanto il master del Lexie quanto il comandante del nucleo militare di protezione asseriscono che il peschereccio con i pescatori morti sarebbe diverso, per forma e colore, da quello oggetto di azione dissuasiva.

I militari italiani, inoltre, hanno ripetutamente riportato che dall’osservazione dell’imbarcazione presunta pirata in fase di avvicinamento erano state chiaramente viste alcune persone armate a bordo.
Ma l’incongruenza più vistosa riguarda il numero di colpi sparati: gli italiani parlano di 20 colpi complessivi (raffiche di avvertimento), nessuno dei quali ha centrato il barchino con i pirati. Gli indiani hanno prima riferito di 60 colpi, poi di 16.

Secondo la ricostruzione delle autorità locali, il natante avrebbe infatti 16 buchi sulla chiglia, che però non sono stati ancora mostrati ‘ufficialmente’.
Se così fosse, però, l’imbarcazione avrebbe subito gravi danni e molto difficilmente avrebbe potuto raggiungere la costa senza affondare, sia che si trovasse a 33 miglia nautiche dal porto - come riferito dagli italiani -, sia che fosse a 22 miglia dalla costa come da versione indiana.