Dall’inviato Giampaolo Pioli

L’Avana, 27 marzo 2013 - Arriva senza scorta. Parla solo in spagnolo tra due grandi immagini di Benedetto XVI ma non cita mai il Papa se non per dire "grazie per la sua visita e per le sue parole sull’unità del paese e del nostro popolo…". Marino Murillo, 51 anni vice presidente del consiglio dei ministri, è oggi dopo Raul Castro forse l’uomo più potente di Cuba. Il giovane astro nascente, l’architetto delle riforme. Nominato presidente della "commissione permanente per l’attualizzazione del modello economico" dal partito comunista, ha in mano fino al 2015 le chiavi per cambiare il paese. Fa solo qualche accenno alla "rivoluzione" e al socialismo che cambia, non cita mai Fidel ed è molto schietto nelle sue affermazioni.

CAMBIAMENTI VOTATI DAL POPOLO - "Voglio essere categorico - dice -. Il sistema politico di Cuba non è in discussione e non cambierà, ma stiamo attuando cambiamenti economici per affrontare il futuro. Abbiamo deciso 313 allineamenti dopo centinaia di assemblee popolari e la discussione in parlamento e nel partito. All’inizio quelli proposti erano 295, il 65% sono stati cambiati e modificati durante le discussioni prima del voto che spesso è avvenuto a maggioranza. E’ stato un processo chiaro e condiviso. Non abbiamo copiato la Cina ma preso spunto da tanti modelli Russia, Cina, Vietnam e anche Europa  Il nostro allineamento punta, come sapete, ad uno sviluppo sostenibile, crediamo nella pianificazione e non nel mercato e le nostre sono scelte strategiche che guardano solo all’economia reale dove si produce".

AGRICOLTURA CHIAVE DEL FUTURO - Murillo ammette che Cuba sta importando un’enorme quantità di generi alimentari che potrebbe produrre direttamente e aggiunge: "E’ vero abbiamo creato piccole iniziative private dove si possono avere da 5 a 7 dipendenti, stiamo dando la terra in usufrutto ai contadini per molti anni, ma rimarrà sempre di proprietà dello stato. Non le vendiamo. Vogliamo premiare l’iniziativa individuale ed essere in grado di avere prodotti alimentari sufficienti senza importarli, ma non intendiamo ricreare il latifondismo perché lo abbiamo già sperimentato fino al 1959. Stiamo studiando forme di proprietà e di gestioni non statali, ma uno dei grandi cardini della riforma è riportare l’industria statale all’efficienza".

Murillo fa capire che ci saranno drastiche riduzioni di personale in molti settori pubblici e verrà posta grande attenzione alla produzione e al risultato. L’obiettivo di spingere verso il settore privato oltre un terzo dell’attuale forza lavoro entro il 2015 è un segno della svolta di Cuba che ha inaugurato anche un nuovo sistema tributario. "Non vogliamo copiare nessuno in automatico dice Murillo ma ci saranno passaggi dall’impresa socialista al lavoro in proprio con attività di piccola scala. Useremo molta flessibilità e la commissione potrà anche proporre di cambiare le attuali regole sulle nuove imprese se non dovessero funzionare. Sarà un processo molto dinamico, siamo aperti all’aiuto e al contributo di tutti, ma i cubani alla fine sceglieranno da soli e non si faranno imporre nulla da nessuno".

In altri termini l’offensiva mediatica dei dirigenti del governo castrista è molto chiara. Cuba si sta battendo contro l’embargo americano, non ha sbattuto la porta in faccia a Obama ma il dialogo con gli Usa è congelato fino a dopo le elezioni. Nel paese però l’iniziativa privata galoppa e le attività commerciali non statali si moltiplicano. Solo a l’Avana ieri è stato annunciato che passeranno da 600 a 950 gli "ispettori integrali" chiamati "esercito dell’onestà" e preposti ad accertare la legittimità delle licenze che non ci sia corruzione e che a impedire che i prezzi dei generi alimentari crescano in modo sproporzionato. Ma soprattutto dovranno spingere e insegnare ai neo-commercianti ad emettere gli scontrini. Dall’inizio dell’anno la città di l’Avana conferma che sono state emesse 189.000 contravvenzione e a diversi neo imprenditori troppo "liberi" è stata anche sospesa la licenza. Anche questo è il nuovo che avanza naturalmente sempre nel nome della "devolution".