di Giampaolo Pioli

Quella vittoria negate dalla giunta militare con 15 anni di carcere, ieri è arrivata nuovamente e questa volta resterà. Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace è stata eletta al parlamento birmano come leader del LND(Lega nazionale della democrazia) con un voto a valanga che ha raggiunto punte del 92%. In pochi mesi la "signora" non solo passa da prigioniera a deputata del più grande partito di opposizione, ma diventerà la voce più ascoltata del paese, un vero "giudice interno" sulle promesse di apertura che la giunta ha fatto alla comunità internazionale.

Anche se il primo giudizio del gruppetto di osservatori europei viene definito "incoraggiante" e tra qualche settimana il segretario generale dell’Onu Ban Ki moon si prepara a certificare i "cambiamenti" con una visita ufficiale, i dubbi sull’autenticità del comportamento dei militari-dittatori preoccupati soprattutto di abolire le sanzioni contro Rangoon non sono del tutto chiariti.

Il piccolo voto di ieri che prelude ad una consultazione generale nel 2015, è di fatto solo un "test simbolico" che verrà esaminato al microscopio sia dalla'UE che dagli Stati Uniti. Il primo piccolo passo alla ricerca di una "legittimazione internazionale".

La scommessa di Hillary Clinton che ha puntato sulla "svolta birmana" in funzione anti-cinese, per allontanare Rangoon dalla sorvegliatissima orbita di Pechino ha bisogno di tempi più lunghi per completarsi. Dobbiamo aspettare non solo la fine dello spoglio delle schede e il risultato finale, ma soprattutto misurare la tolleranza dei generali al potere nel caso di una schiacciante (come appare) vittoria del partito di San Suu Kyi.

L’ipotesi che alla "signora" possa essere offerto un incarico di governo se non un ruolo chiave al ministero degli esteri, per trasformarla in una sorta di ambasciatrice internazionale, è reale. Se accadesse e la "svolta pragmatica" si traducesse anche in una "opposizione pragmatica", i militari avrebbero quasi 3 anni per riflettere su una transizione non più rinviabile e reinserirsi con tutte le ricchezze che il paese possiede nel "circuito buono" dei paesi emergenti in un’Asia destinata a diventare sempre più il nuovo centro del mondo.

Aung San Suu Kyi annunciava ieri che il suo partito stava vincendo in tutto il paese. Se il "nuovo corso" prosegue e non rimarrà solo un’operazione di facciata, potrebbe essere davvero lei a guidare la Birmania come presidente fra meno di 36 mesi.