Belgrado, 4 maggio 2012 - Uno soprannominato (dall'ex premier italiano, Berlusconi) il 'presidente Clooney', per la somiglianza con 'attore hollywoodiano. L'altro 'il Becchino', per aver lavorato in passato come custode di un cimitero di provincia. Il capo di stato uscente, il filoeuropeista convinto Boris Tadic, ed il suo eterno rivale, il nazionalista-populista Tomislav Nikolic, sono pronti, domenica 6 maggio, a sfidarsi per la terza volta consecutiva alle elezioni presidenziali serbe in un clima appesantito dalla crisi economica. Sì, perché tanto la Serbia intellettuale di Tadic, quanto quella operaia di Nikolic, in questo 2012 sembrano porsi la stessa domanda: come arrivare a fine mese?
 

UN SOLO FAVORITO - I sondaggi concordano che, come già nel 2004 e nel 2008, la battaglia finale tra Tadic, leader del Partito democratico (Ds) e Nikolic, leader del Partito progressista serbo (Sns), si giocherà al secondo turno, il 20 maggio. Dove gli analisti locali ipotizzano, pressoché unanimemente, una riconferma del filoeuropeista.
 

L'EREDE DI DJINDJIC - Rispetto al voto del 2008, entrambi i due principali candidati alla guida della Serbia consegnano agli elettori importanti traguardi politici. Dopo aver preso il testimone di democratizzatore del paese dall'ex premier Ds Zoran Djindjic, assassinato nel 2003, Tadic ha traghettato la Serbia fuori dall'isolamento degli anni '90. Fino a portarla, lo scorso marzo, allo storico riconoscimento dello status di Paese ufficialmente candidato all'adesione all'Ue.
 

DURA SCISSIONE - Nikolic, all'opposto, è reduce da un taglio netto con il passato e con il suo ex Partito radicale serbo (Srs), voce dell'estrema destra nazionalista, guidata a distanza da Vojislav Seselj, attualmente sotto processo all'Aia per crimini di guerra. Dopo la sconfitta del 2008, la scissione dai radicali e la fondazione di Sns, segnò la svolta di Nikolic verso posizioni più moderate, ancora legate alla tradizione nazionalista e filorussa, ma non più contrarie all'eurointegrazione di Belgrado. Una spaccatura senza precedenti nella destra serba, interpretata, soprattutto all'estero, come un positivo segnale di normalizzazione per l'intero Paese.
 

MLADIC IN GABBIA - Non è un caso che, proprio nell'ambito di questo rinnovato clima politico generale, Tadic abbia potuto scandire il suo ultimo mandato di traguardi impensabili, nella Serbia di appena qualche anno prima: dall'arresto degli ultimi ricercati per crimini di guerra - incluso l'ex generale, sospetto genocida, Ratko Mladic, latitante per oltre tre lustri - alla ripresa del dialogo con il Kosovo, nonostante la profonda ferita inferta a Belgrado dalla dichiarazione di indipendenza di Pristina, nel 2008.
 

MINA KOSOVO - Il riconoscimento del Kosovo è una linea rossa che entrambi i leader professano di non voler mai valicare. Ma se Tadic, in concerto con l'Ue, è in cerca di una "soluzione pacifica" alla questione, Nikolic, più esplicitamente, sostiene che "se ci diranno che possiamo aderire all'Ue, ma senza Kosovo, allora risponderemo grazie, arrivederci, noi prendiamo la nostra strada".