ATENE, 12 maggio 2012 - Dopo il conservatore Antonis Samaras e il leader della sinistra radicale Alex Tsipras, anche Evangelos Venizelos ha dovuto alzare bandiera bianca: i tentativi di formare un nuovo governo di unità che garantisse l’applicazione degli accordi negoziati con Ue ed Fmi sono falliti e oggi a mezzogiorno il leader socialista ha rimesso il suo mandato nelle mani del presidente Karolos Paopulias.

L’ultima spiaggia prevista dalla Costituzione greca per evitare il nuovo e immediato ricorso alle urne è una riunione - fissata per domani - del Presidente con i dirigenti di tutti i partiti, nella quale “ognuno si assumerà le proprie responsabilità”, come ha auspicato Venizelos.

Giovedì il leader del Pasok aveva incassato il sì della Sinistra Democratica (Dimar) a patto però che la coalizione comprendesse - oltre ai conservatori di Nea Demokratia, partito di maggioranza relativa - anche la sinistra radicale di Syriza: ieri tuttavia è stato lo stesso Tsipras a ribadire il rifiuto di far parte di qualsiasi esecutivo che abbia in agenda l’applicazione del piano di salvataggio negoziato con l’Europa.

Un rifiuto che ha di fatto riportato tutto alla non facile situazione di partenza: Nd e il Pasok da soli hanno 249 seggi, due in meno della maggioranza assoluta necessaria in Parlamento; tutti gli altri partiti si sono detti più o meno favorevoli alla permanenza nell’Eurozona (eccetto i comunisti del Kke) ma contrari all’applicazione del piano di salvataggio senza (almeno) un’ampia rinegoziazione che Bruxelles ha di fatto già escluso.

Anche Venizelos aveva accettato giovedì la condizione di una revisione - per quanto limitata e parziale - degli accordi firmati con Ue ed Fmi, anche se finora l’atteggiamento di Bruxelles (e Berlino) su questo punto è stato di totale chiusura, minacciando la sospensione dei prestiti già negoziati, senza i quali Atene andrebbe in fallimento.
 

L’unica via di uscita appariva quindi un accordo tra Nd, Pasok e almeno una delle formazioni minori per un governo che rispettasse sostanzialmente la linea di austerità pur chiedendo a Bruxelles qualche aggiustamento.
Tuttavia se i due partiti maggiori hanno verosimilmente toccato il fondo del loro elettorato, qualunque formazione minore si presti a questa strategia rischia la fine del Laos, che ha fatto parte dell’esecutivo di unità del premier Lucas Papademos ed è sparito dall’emiciclo, punito dagli elettori; non a caso salvo Nd e Pasok tutte le altre forze presenti in Parlamento si sono espresse contro il piano di salvataggio europeo.

In un tale quadro è possibile che - vista l’impossibilità di varare un esecutivo di unità che prosegua sulla linea del governo uscente e di fronte all’alternativa di una coalizione che bocci gli accordi riaprendo la crisi dell’Eurozona - un nuovo ricorso al voto venga considerato il male minore, pur con il carico di incertezza che comporta: non è affatto detto però che un nuovo responso delle urne cambi gli equilibri e risolva il problema.

Il presidente dell’Unione europea, Herman Van Rompuy, intanto, ha lanciato un appello “alla responsabilità nazionale” ai dirigenti greci chiedendo loro di “rispettare gli impegni” assunti da Atene prima delle elezioni e vivamente contestati alle urne. E il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso ha alzato i toni ritenendo che la Grecia dovrà lasciare la zona euro se non riuscirà a rispettare gli impegni di bilancio assunti in cambio del piano di salvataggio che, fino ad oggi, ha permesso ad Atene di evitare il fallimento.