I GRECI sembrano aver scelto l’euro e la sofferenza, contro il ritorno alla dracma e forse al disastro. Ieri abbiamo vinto tutti noi europei, sia pure con poco margine, e il futuro rimane incerto, il paese diviso. Non sarà facile seguire gli ordini di un’Unione sempre più imperiosa e insofferente, con il volto di una severa matrigna tedesca, pronta a cacciare i colpevoli. L’Europa potrebbe sopravvivere senza la Grecia. Ma non può dimenticare Atene. Non è un gioco di parole.

L’Ellade come la vediamo noi non è mai esistita. E’ un’invenzione poetica. Gli antichi greci non furono mai una nazione. Ma l’idea d’Europa non potrebbe esistere senza la civiltà greca. Nel continente in cui si moriva per l’idea di una patria, italiana, ungherese, o tedesca, tutti contro tutti, si sentì la necessità di trovare per noi europei una radice comune. “Una culla d’Europa”, come ricorda nella sua recente poesia il Nobel Günter Grass. Una culla che siamo disposti a vendere per un pugno di euro? La Grecia l’abbiamo depredata. Abbiamo preso a cannonate il Partenone, i suoi fregi furono trafugati a Londra, grazie a un falso documento redatto da un avventuriero napoletano. Per ricreare la Grecia è morto Byron, e si è battuto il nostro Foscolo.

Abbiamo voluto a tutti i costi che divenisse una nazione, in ricordo di Omero e di Aristotele (e per dare fastidio ai turchi che la occupavano). Oggi vogliamo unire gli europei, divisi come i greci di Sparta e di Atene, e come loro uniti dalla cultura. C’è qualcosa che lega un siciliano a un finlandese, un greco a un prussiano, che non si riesce a spiegare, ma che tutti possono sentire. Per il momento, abbiamo creato un’unione di mercanti, che non sono sempre male, e un club di finanzieri che giocano con soldi virtuali, e le nostre vite reali. Da Ulisse allo spread, si rischia il cortocircuito. «Cosa dobbiamo alla civiltà dell’olivo?», si chiede un titolo della ‘Süddeutsche Zeitung’, che esce a Monaco. E la bandiera greca ha i colori della Baviera, il bianco e l’azzurro, perché il suo primo sovrano fu l’adolescente Otto, figlio di Re Ludwig, quello che perse la corona per amore di Lola Montez. I confini del Mediterraneo giungono fin dove nasce l’olivo, la culla di Grass è l’intero nostro mare. La civiltà si fermò nella Foresta di Teutoburgo, dove Varo perse le sue legioni, duemila e tre anni fa, e giunse in Germania con secoli di ritardo, riconoscono gli storici tedeschi. «La Merkel ci critica? La democrazia l’abbiamo inventata noi», si sdegna il portoghese Santos, allenatore della nazionale greca, vittoriosa almeno a calcio.

Tutto vero, ma rimane un lamento retorico. Il passato vive se viene trasformato, non solo celebrato. Nella costituzione europea si cita Platone, ma l’abbiamo un po’ aggiustato: la democrazia non è il governo dei molti, bensì il governo di pochi per il bene di molti, secondo il filosofo che noi e mister Santos abbiamo studiato al liceo. La Comunità europea in cui la piccola Lettonia conta quanto la Germania o l’Italia è un’ipocrisia. Il Prodotto interno lordo pesa più dei voti popolari. C’è sempre chi è più forte e pretende di governare per il nostro bene. E a volte ci conduce alla catastrofe. Pensate alla signora Merkel? Sarebbe bello fosse solo colpa sua. È diventata il capro espiatorio della crisi, nata dall’altra parte dell’Atlantico. Obama non dovrebbe dimenticarlo.

Come non dovremmo dimenticare che a tradire l’ideale greco, a svendere la culla mediterranea, siamo stati anche noi, gli eredi di quella civiltà. Se i fregi del Partenone non fossero al British Museum, sarebbero già sgretolati per l’inquinamento, la Roma di oggi non è quella di Catone, a Parigi Voltaire non si troverebbe a suo agio. Per salvare l’anima europea servono i miliardi della Prussia, e anche i nostri sacrifici. La Merkel, in fondo, pretende che gli europeo tornino a vivere secondo i principi dei loro padri. Lei ci crede, noi facciamo finta, a volte.

di Roberto Giardina