NEW YORK, 11 luglio 2012- La diplomazia non aiuta il Sudan del Sud, il neo Stato che proprio in questi giorni festeggia l’anniversario dell’indipendenza dal nord raggiunta nel 2011. A dodici mesi dalla proclamazione, rimangono numerosi i problemi che per decenni hanno oppresso la popolazione.


Il Consiglio di Sicurezza si è riunito ieri per discutere alcune delle questioni irrisolte:  confini, petrolio, amministrazione dello Stato. I quindici Stati Membri però non sono riusciti a raggiungere accordi incisivi. Si è evitato infatti di parlare della violazione dei diritti umani nella zona del confine, compiute dalle truppe sudsudanesi durante la campagna di disarmo nello Jonglei, né dei rifugiati sudanesi ora in Etiopia e nel Sudan del Sud. Silenzio anche su Lord’s Resistence Army, che continua a operare nella zona dei Grandi Laghi africana, nelle regioni meridionali del Sudan del Sud e in Congo. E le trattative tra Khartoum e Giuba sono in una fase di stallo, dopo gli incontri a Addis Abeba del 5 luglio, in cui comunque non sono stati fatti progressi.


Su un punto, nei giorni scorsi, si è raggiunto un consenso unanime. Il Consiglio ha ribadito infatti l’impegno degli stati membri nel voler seguire con costante interesse gli sviluppi nella regione, come dimostra il rinnovo, per un altro anno, del mandato dell’UNMISS, la missione delle Nazioni Unite nel Sudan del Sud. A proposito di questa missione, il governo di Giuba, nelle scorse settimane, ha espresso le proprie perplessità sull’effettiva efficacia dell’impegno delle forze di peacekeeping stanziate nella zona. Il governo del Sudan del Sud infatti ha criticato le forze Onu che non sono state in grado di proteggere i civili dai bombardamenti aerei condotti da Khartoum nei mesi scorsi, non hanno contribuito alla costruzione di infrastrutture nella regione e non si sono coordinate adeguatamente con gli organi di governo locali.

Rimane fermo il sostegno al "border mechanism", ovvero la creazione di una zona demilitarizzata lungo il confine tra i due paesi, sotto il continuo controllo di osservatori Onu. Nelle settimane scorse, è stato deciso di adottare la mappa definita dall’Unione Africana, che in questa disputa tra i due stati ha il compito di facilitare il negoziato tra le parti, e si è insistito sulla necessità di un intervento umanitario nel territorio del governo di Giuba.


Il futuro del Paese per il momento non prospetta niente di positivo. Nei prossimi mesi sono previsti scarsi raccolti e la mancanza di cibo che ne conseguirà andrà a colpire una popolazione da anni provata dal conflitto civile che adesso presenta i primi segni della malnutrizione. Il Consiglio si è impegnato a mandare aiuti alimentari e a decidere per l’invio di contingenti umanitari. L’emergenza umanitaria nelle regioni del Kordofan del Sud e del Nilo Azzurro, al momento, assieme al problema dei rifugiati sono le questioni che preoccupano maggiormente il’Onu.


Riguardo la mancanza di approvvigionamento energetico (petrolio) da parte del Sudan del Sud, il problema risale al gennaio di quest’anno, quando il governo di Giuba accusò i vicini di Khartoum di aver confiscato oltre 800 milioni di dollari da un oleodotto che corre dal Sudan del Sud a Porto Sudan, in Sudan-Khartoum, sul Mar Rosso. La conseguente chiusura di questo oleodotto da parte di Giuba (che rappresentava il 98% dei proventi economici del paese) ha fatto precipitare il paese in una grave crisi economica. Nonostante la condanna unanime alla  decisione del Sudan di effettuare una oil police, ovvero di mantenere un controllo sul petrolio nella regione dell’Abyei, in violazione della risoluzione 2046, non sembra imminente una presa di posizione del Consiglio di Sicurezza, il quale ritornerà a discutere del Sud Sudan nelle prossime settimane.