NEW YORK, 26 luglio 2012 - Una conferenza internazionale non è mai facile. Una conferenza internazionale sul disarmo ancora meno. In questi giorni si sta concludendo alle Nazioni Unite il vertice mondiale sul commercio di armi, che si deciderà venerdì sera con l’adozione dell’ Arms Trade Treaty.

I lavori hanno visto coinvolte le delegazioni di tutti i 193 paesi membri, più gli osservatori permanenti, e sono andati avanti per il mese di luglio tra assemblee plenarie, comitati, negoziati informali, incontri bilaterali e accordi segreti. Il commercio mondiale di armi convenzionali rimane poco regolato e molti governi hanno espresso preoccupazioni riguardo l’assenza di controlli globali sui trasferimenti di materiale bellico tra i paesi. Questo è il motivo che portò già nel 2006 a parlare di una conferenza mondiale, quando l’Assemblea Generale chiese agli stati membri di esprimere le proprie posizioni su un trattato in materia. Poi tre anni di studi, rapporti e gruppi di lavoro hanno fatto decidere nel 2009 all’Assemblea di convocare la Conferenza sul Trattato del Commercio di Armi per il 2012.

I tempi sono stati lunghi ma l’argomento è delicato. Il primo scoglio era cosa includere nel trattato: tutte le armi, anche quelle a uso sportivo? Solo gli armamenti pesanti (carri armati, veicoli corazzati, sistemi d’artiglieria di grosso calibro, elicotteri d’attacco, missili e lanciamissili) o anche le armi leggere? E cosa avrebbero detto i paesi produttori di armi leggere e con un’avanzata industria di sistemi di difesa (Italia in primis con Beretta, Benelli e il gruppo Finmeccanica)? Con la preparazione della conferenza sono iniziate anche le azioni di pressione delle organizzazioni non governative. Amnesty International, Oxfam e ControlArms seguono, ormai da mesi, da vicino i lavori. Ogni giorno producono report e fanno dichiarazioni agli organi di stampa per cercare di ottenere un trattato efficace, che possa fare la differenza col passato.

A poche ore dalla chiusura dei negoziati sembra che il testo non cambierà le sorti del mondo. Nei giorni scorsi infatti le delegazioni hanno chiesto al presidente della Conferenza, l’argentino Moritan, di poter avere entro mercoledì sera il documento finale, da mandare alle rispettive capitali per le istruzioni di voto. Pur di giungere a un accordo collettivo, i delegati hanno preferito optare per un documento soft, il quale (almeno sembra) verrà adottato dall’Assemblea Generale che deciderà per l’istituzione di quattro gruppi di studio che tra due anni dovranno presentare un rapporto finale. Appuntamento quindi al 2014 per gli effetti operativi? Non proprio. Il trattato sarà vincolante e obbligherà gli stati a introdurre leggi tese a istituire organismi di controllo sul trasferimento di armi verso altri stati. Diventerà illegale il commercio di armi verso quei territori dove si è certi che queste saranno utilizzate non per difesa ma per compiere atti in violazione dei diritti umani.

Il punto più controverso di tutte le trattative ha riguardato il commercio legittimo di armi convenzionali. Secondo la Croce Rossa Internazionale nella prima bozza del Trattato presentata martedì ci sono scappatoie che andranno semplicemente a ratificare lo status quo, anziché stabilire un alto standard internazionale di regolamentazione che cambierà le pratiche degli stati e salverà vite umane. Anche Oxfam e Amnesty International parlano di falle e contraddizioni nel trattato, che è necessario risolvere se si vuole fermare la deriva di queste armi verso i peggiori teatri di conflitto nel mondo. Inoltre si deve parlare non solo di armi, ma anche di munizioni.

Da ControlArms fanno sapere che il pericolo che Francia e Regno Unito cedano alle pressioni degli Stati Uniti è reale. Se i governi di Parigi e di Londra nelle settimane scorse sono intervenuti più volte in sessione plenaria, adesso, assieme a Giappone e Australia, “dicono cose di sempre minor rilievo in sede di negoziato, anziché concentrare i propri sforzi nei discorsi a porte chiuse con gli attori principali”. Washington è accusata da ControlArms di voler introdurre clausole che in realtà toglieranno al trattato ogni efficacia. Cina e Russia non vogliono che si faccia troppo riferimento ai diritti umani. Grande attivismo invece da parte dei paesi africani e dell’America latina, che hanno prodotto numerosi documenti cofirmati.

Insomma, la partita non è ancora chiusa. A detta di Amnesty International il decision maker cruciale delle prossime ore sarà Obama. Il trattato sicuramente non andrà a risolvere la situazione in Siria, ma dovrebbe costituire la cornice politica e giuridica entro la quale far operare il commercio mondiale di armi. A voler adottare il consensus come metodo di approvazione del documento Onu sono stati proprio gli Stati Uniti.