I campi profughi della Turchia sono allo stremo. I siriani sono più di ottantamila. Per questa precisa ragione il primo ministro Recep Tayyip Erdogan è tornato a invocare «zone cuscinetto sicure» all’interno del territorio di Damasco. Ma ha dovuto riconoscere che la misura sarebbe troppo rischiosa senza l’ombrello di una zona di «interdizione del volo». Gli elicotteri e i Mig di Damasco non possono essere lasciati liberi di bombardare colonne di disperati che tentano di mettersi in salvo. Nonostante le ricorrenti minacce, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e soprattutto la stessa Turchia non vogliono arrivare alle conseguenze estreme. Prima di tutto perché per neutralizzare le difese aeree di Assad si dovrebbe accendere il semaforo verde a un bombardamento massiccio della Siria. Un atto che apre scenari internazionali catastrofici. Proprio ieri il numero due dei Pasdaran iraniani Mohammed Ali Asudi ha ribadito che i suoi uomini sono «pronti a intervenire in caso di attacco militare degli Stati Uniti». E il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov ha definito la richiesta di ritiro unilaterale delle forze del regime «una domanda di capitolazione».

La macelleria siriana non si fermerà, nonostante i dubbi e le perplessità che cominciano a serpeggiare perfino fra i 120 Paesi non allineati i cui ministri degli esteri, riuniti a Teheran, avevano concordato una bozza di risoluzione che non ha mai visto la luce. Prevedeva infatti un no secco a ogni «intervento militare straniero».

La parola torna, inesorabilmente, alle armi. I ribelli si stanno concentrando sugli aeroporti, nel triangolo che ha per vertici Aleppo, Idlib e Hama. Una loro fonte, l’Osservatorio dei diritti umani basato a Coventry, li accredita di due successi marginali. Sarebbero caduti nelle loro mani l’edificio della difesa aerea di Abu Kamal, sul confine con l’Iraq, e la base di Hamdan. L’Osservatorio precisa che nel «bottino» dei rivoluzionari c’erano diversi pezzi pregiati. Sarebbero missili terra-aria Kobra e Sam 7, le armi che da tempo i nemici di Assad chiedono con insistenza ai loro sostenitori occidentali, arabi e turchi. La Francia e la Turchia sarebbero pronte a garantire supporti logistici. Venerdì sarebbe nata anche la compagine militare unificata della rivoluzione. Si chiama Esercito Nazionale siriano.