Caracas, 8 ottobre 2012 - Spavaldamente, com’è nel carattere del personaggio, alla vigilia del voto aveva detto di contare su una vittoria con il 70% dei consensi. Se il 54% ottenuto nelle urne verrà confermato dal conteggio finale, Hugo Chavez avrà comunque riaffermato che a partire dal 2 febbraio 1999, data della sua prima elezione, l’unico nemico veramente in grado di batterlo e fermare la sua “Rivoluzione bolivariana” è stato il cancro. La malattia, della quale pochissimo si è parlato nel corso della campagna elettorale e che a lungo lo aveva tenuto lontano, a partire dalla metà dello scorso anno, dalla scena pubblica.

Nemmeno i discutibili risultati economici della sua gestione, più che gli avversari politici che in questi anni di dominio quasi incontrastato hanno tentato di fermare la sua marcia, hanno convinto la maggioranza dei venezuelani a voltargli le spalle. Il populismo di Chavez, sostenuto comunque dai miliardi di dollari dei proventi del petrolio (un barile valeva 8 dollari nell’anno della sua prima elezione, oggi ne vale 100) ha ancora una volta vinto, nonostante l’inflazione al 27% e il tasso di criminalità a livelli ormai incontrollabili, per citare due degli indicatori più preoccupanti dell’attuale situazione venezuelana.

Emerso come una figura a tratti folcloristica e spesso sottovalutato da quanti, in questi anni, hanno osservato con sufficienza i cambiamenti in corso in America Latina, Chavez ha saputo conquistarsi uno spazio, sebbene discutibile, sulla scenza internazionale. Le sue alleanze con la Cuba castrista, alla quale fornisce petrolio a prezzi di favore, o con l’Iran di Mahmoud Ahmadinejad, in chiave anti americana, hanno più volte suscitato le ire di Washington.

Il suo “socialismo del Ventunesimo secolo” è stato di ispirazione anche per altri leader della regione, come Evo Morales in Bolivia e Rafael Correa in Ecuador. Memorabile una sua apparizione alle Nazioni Unite, nel 2006, quando rivolgendosi alla Assemblea Generale, disse di sentire “odore di zolfo”, poiché l’allora presidente Usa, George W. Bush, definito “il diavolo”appena il giorno prima aveva parlato dallo stesso palco.

Chavez, insolita figura di leader autoritario eletto democraticamente, può vantare una parabola unica per intensità. Il suo primo tentativo di scalata al potere risale al 1992, quando guidò un colpo di stato militare, fallito. Nel 1999 la prima travolgente vittoria elettorale. Nel 2002, per poche ore, subì un tentativo di colpo di stato e tra il 2002-2003 affrontò un devastante sciopero generale che mise in ginocchio il Paese, costringendo il Venezuela, tra i più ricchi produttori al mondo, a importare petrolio dall’estero.

Chavez superò anche l’ostacolo di un referendum nel 2004, per poi arrendersi, nel 2007, all’unica vera sconfitta politica della sua carriera, perdendo di misura la consultazione popolare nella quale chiedeva al Venezuela il giudizio su una serie di riforme in chiave autoritaria da lui proposte. Il percorso che lo porterà, con questo quarto mandato, a celebrare nel 2019 i 20 anni di potere, non si annuncia però facile e le classi popolari che ieri, ancora una volta, gli hanno dato fiducia, si aspettano di raccogliere finalmente frutti concreti dalla sua “Rivoluzione”.