Roma, 26 novembre 2012 - In un clima politico incandescente per l'Egitto, il presidente Mohamed Morsi prova a disinnescare il conflitto scatenato dall'avocazione dei nuovi poteri, compiuta giovedì scorso. Oggi vedrà i vertici del potere giudiziario a cui ribadirà che il decreto con cui ha reso inappellabili le proprie decisioni ha natura "temporanea" e che non è sua volontà concentrare tutti i poteri nell'esecutivo.

RISCHIO RIVOLTA - Morsi, primo presidente dell'Egitto democraticamente eletto, deve fare i conti con una rivolta popolare che domani potrebbe scatenarsi nelle piazze con le nuove manifestazioni convocate dall'opposizione. Domenica nell'attacco a una sede di Fratelli musulmani a Damanhour, nel Delta del Nilo, un 15enne attivista islamico è stato ucciso e una sessantina di persone sono rimaste ferite negli scontri. In totale sono più di 500 i feriti negli scontri dall'inizio delle proteste.

TESTA A TESTA - Nel tardo pomeriggio è in programma l'incontro tra il presidente egiziano e il Consiglio giudiziario supremo, l'organo di autogoverno della magistratura. Il ministro della Giustizia, Ahmed Mekki, si è detto "fiducioso" sulla possibilità di ricucire lo strappo. Domenica il Consiglio giudiziario supremo aveva precisato che il decreto Morsi si poteva applicare solo a "questioni sovrane", di fatto circoscrivendone la portata. "Credo che il presidente Morsi voglia questo", ha confermato Mekki. Per ora, però, la contrapposizione resta: i magistrati sono in sciopero contro il decreto e anche i giornalisti hanno annunciato uno sciopero in data da definire.

MERCATI IN RIPRESA - Sull'onda emotiva della dirompente crisi politica in atto, la Borsa del Cairo ha aperto in calo del 4% ma poi è risalita dai minimi raggiunti domenica, quando aveva perso il 10%, e ha chiuso in rialzo del 2%. Intanto Mohamed El Baradei, esponente di spicco dell'opposizione, ha chiesto il "ritiro puro e semplice" della dichiarazione costituzionali con cui Morsi si è posto di fatto al di sopra della giustizia.

'RIVOLUZIONE TRADITA' - In una lettera al ministro degli Esteri, Mohamed Kamel Amr, 180 diplomatici egiziani hanno fatto sapere che non difenderanno la svolta di Morsi come gli viene chiesto di fare. "La rivoluzione", si legge nella lettera di cui ha dato notizia il sito Ynet, "mirava a difendere i diritti civili, rafforzare i valori della democrazia e delle istituzioni, liberandosi della corruzione" e "andare contro questi obiettivi significa tradire la rivoluzione".