Ginevra, 6 maggio 2013 - All’indomani dall’accusa di aver fatto ricorso alle armi chimiche, e in particolare al gas sarin, rivolta da Carla del Ponte ai ribelli siriani, l’ex procuratore capo presso i Tribunali Onu per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda è stata smentita dalla stessa commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite di cui fa parte.

In una nota l’organismo inquirente precisa infatti che “non sono state raggiunte prove conclusive circa l’uso di armi chimiche in Siria da alcuna delle parti in conflitto”. Altrettanto hanno fatto gli Stati Uniti, puntualizzando di “non disporre d’informazioni” sul fatto che “i ribelli siriani siano in grado o intendano usare il sarin”.

Della questione discuterà domani il segretario di Stato americano John Kerry, alla sua prima missione a Mosca, con il presidente russo Vladimir Putin: Kerry, è stato anticipato, cercherà una “prova” dell’impegno del Cremlino nella ricerca di una soluzione politica alla crisi.

L'ATTRITO CON ISRAELE - Nel frattempo, dopo i due raid aerei in territorio siriano nel giro di appena 48 ore, Israele cerca di placare il regime di Bashar al-Assad, chiarendo che suo unico obiettivo rimangono le milizie sciite libanesi di Hezbollah, cui sarebbero stati destinati i missili distrutti nei bombardamenti, e non Damasco. Lo Stato ebraico avrebbe inoltre fatto pervenire allo stesso Assad, tramite i canali diplomatici, un messaggio segreto nel quale chiarisce di non avere la minima intenzione di interferire nel conflitto tra lealisti e ribelli. Almeno pubblicamente, però, la Siria ha manifestato di non considerare sufficienti tali precisazioni.

Fonti governative riservate hanno anzi ribadito che ci sarà una “risposta all’aggressione” subita, e che sarà il regime a decidere quando darla: non necessariamente a breve termine, anche perché in questo momento “gli israeliani sono in stato di massima allerta”. Damasco intende pertanto “aspettare”, ma una reazione a suo dire ci sarà comunque. Dal canto suo il vice capo dello stato maggiore interforze iraniano, generale Masoud Jazayeri, ha respinto le accuse d’Israele, sostenendo che le armi prese di mira, quali che fossero e a chiunque fossero indirizzate, non provenivano da Teheran, del cui aiuto la Siria “non ha bisogno”.

Intanto un colpo di mortaio sparato dalla Siria è esploso nel Golan, presso un villaggio israeliano. Non ci sono vittime. La deflagrazione, che non ha provocato vittime né danni, è stata udita in maniera distinta dagli abitanti di un villaggio israeliano sulle alture occupate del Golan. Secondo la radio militare, l’episodio avrebbe comunque un carattere "accidentale". Sarebbe da collegarsi, a suo parere, ai combattimenti in corso sul versante siriano della linea di demarcazione fra l’esercito di Bashar al Assad e le forze ribelli.

CASCHI BLU ONU IN MANO AI RIBELLI - I ribelli siriani della Siria sud-occidentale annunciano di aver "assicurato la protezione" a quattro caschi blu della forza Onu schierata tra la Siria e Israele sulle alture del Golan. Il gruppo, Brigata dei Martiri di Yarmuk, ha diffuso la foto dei quattro militari Onu.

EMMA BONINO - "Non ritengo esistano soluzioni militari possibili in Siria, almeno nell’immediato". Lo ha detto a Londra il ministro degli Esteri Emma Bonino dicendosi convinta che la via di uscita alla crisi nel Paese debba essere "politica". Il ministro Bonino ha sottolineato come "la situazione in Siria sia drammaticamente insopportabile", e come in questo momento serva "evitare di fare ulteriori danni". Per quanto riguarda la posizione italiana, ha spiegato la titolare della Farnesina, "sabato e domenica nel seminario convocato dal premier Enrico Letta con tutti i ministri saranno toccati i temi più caldi" anche di politica estera, e "mi auguro che in quella sede si consolidi una linea unitaria del governo italiano". "Spero - ha aggiunto Bonino - che la posizione sia omogenea anche a livello di Europa: stiamo infatti vivendo lo stesso dibattito che c’è stato in passato con Sarajevo e la Bosnia, e mi auguro che l’Europa abbia imparato la lezione e parli con una voce sola".