Roma, 20 settembre 2013 - Il neo-presidente iraniano Hassan Rohani ha rilanciato la proposta di Teheran per una soluzione politica in Siria, dicendosi pronto alla mediazione tra il regime di Bashar al-Assad, storico alleato della Repubblica Islamica, e le forze di opposizione, con l'obiettivo di "contribuire ad agevolare il dialogo" tra le parti in conflitto. "Dobbiamo darci la mano per collaborare costruttivamente in vista del dialogo nazionale, che si tratti della Siria o del Bahrein", scrive Rohani in un articolo pubblicato oggi sul Washington Post, alludendo anche a un'altra grave crisi in atto nella regione, dove la monarchia filo-sunnita del piccolo emirato insulare deve fronteggiare le crescenti proteste della maggioranza sciita. Più in generale, il leader dell'Iran afferma di voler portare avanti una politica di "impegno costruttivo" nell'ambito della comunità internazionale.

INCONTRO CON OBAMA? - E nel solco del nuovo corso iraniano Rohani non ha escluso - e anzi ha auspicato - un incontro con Barack Obama nel caso in cui saranno messe a punto "le condizioni indispensabili”. In un’intervista all’emittente Nbc, Rohani ha ammesso: "Tutto è possibile nel mondo della politica". Il capo di Stato iraniano ha comunque precisato di “non avere in programma un incontro con Obama" durante o a margine dell’imminente Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma, ha insistito, "tutto è possibile".

SCENDERE A PATTI - L'offensiva mediatica del governo siriano dopo l'intervista di ieri di Assad a Fox News segna oggi un'altra importante tacca con le parole al Guardian del vicepremier siriano Qadri Jamil, secondo il quale il conflitto in Siria tra regime e ribelli è in una situazione di stallo e Damasco chiederà il cessate il fuoco  per dar vita alla conferenza internazionale di pace nota come Ginevra 2. Jamil sottolinea come gli oltre due anni di conflitto abbiano causato perdite catastrofiche all'economia del Paese. "Né l'opposizione armata né l'esercito - sottolinea l'alto dirigente - sono in grado di sconfiggere l'altra parte. E la situazione di stallo non cambierà per un po' ".

PAESE A PEZZI - Nel frattempo, l'economia siriana ha perso circa 100 miliardi di dollari, pari a due anni di normale produttività. Per questo - auspica Jamil - se l'opposizione siriana acconsentirà, nel Paese potrebbe entrare in vigore un cessate il fuoco "sotto il controllo internazionale", garantito da osservatori o anche da peacekeeper Onu, "a condizione che provengano da Paesi neutrali o amici". Una volta applicato il cessate il fuoco - è la road map del governo - in Siria potrà essere avviato un processo politico scevro da qualsiasi interferenza esterna visto che "il regime, nella sua forma precedente, è ormai finito", riconosce il numero due del Paese.

AL TAVOLO CHI? - Ginevra 2, l'auspicata conferenza di pace, tuttavia appare in un limbo. Da mesi Russia e Stati Uniti ne discutono la convocazione, non riuscendo ad arrivare a un accordo, in particolare sugli eventuali partecipanti. Washington preme perché al tavolo del negoziato si sieda solo la Coalizione nazionale siriana (Snc), mentre Mosca chiede che oltre alla Snc (ieri incontrata dal viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov) partecipino anche l'Ncb (organismo di coordinamento nazionale per un cambiamento democratico) e la delegazione della minoranza curda.

RILANCIO USA - Il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha esortato ieri il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad adottare "la prossima settimana" una risoluzione che costringa la Siria a rispettare il piano per smantellare il suo arsenale chimico, di cui ieri Bashar al Assad ha promesso il totale smantellamento entro un anno in base all'accordo raggiunto tra Russia e Stati Uniti. Gli Usa però hanno fretta. "Il Consiglio di sicurezza si deve preparare ad agire la prossima settimana", ha detto Kerry al dipartimento di Stato, alla vigilia dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Agli occhi del capo della diplomazia americana, "è fondamentale che la comunità internazionale parli forte e chiaro" per arrivare a un testo del Consiglio di sicurezza che esprima "nei termini più forti l'importanza di agire affinché il mondo si sbarazzi delle armi chimiche siriane".

COMUNICAZIONE OPAC - E proprio oggi l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) ha affermato di aver ricevuto dalla Siria dettagli sul suo programma di armi chimiche. Il parere dell'Opac è propedeutico alla riunione del Consiglio di sicurezza che dovrà varare la risoluzione sullo smantellamento delle armi chimiche siriane.

LA SITUAZIONE SUL CAMPO - Nuove e crescenti spaccature - ora che la via diplomatica ha preso forza - si segnalano intanto tra le forze ribelli, dove i resistenti dell'Esercito libero siriano (quelli della prima ora) sono sempre più spesso in lite - e talvolta addirittura in battaglia sul campo - con i miliziani qaedisti, quasi tutti stranieri e spesso i più addestrati ed efficienti. Una tregua è stata raggiunta oggi ad Azaz, 5 km dal confine turco, tra Els e Siis (l'organizzazione qaedista che sogna lo Stato islamico dell'Iraq e della Siria), con lo scambio dei rispettivi prigionieri.

COMUNICATI E SLOGAN - L'ormai palese insofferenza della popolazione siriana nei confronti dei combattenti integralisti islamici presenti nel Paese cresce di ora in ora e oggi si è tradotta persino in comunicati e slogan. In un comunicato la Coalizione Nazionale Siriana, principale cartello delle opposizioni al regime di Bashar al-Assad, ha duramente condannato "l'aggressione contro le forze della Rivoluzione e il reiterato disprezzo per le vite dei cittadini siriani" operate dai qaedisti, considerando "un tal modo di agire contrario alla Rivoluzione e ai principi per il cui raggiungimento si combatte". E dal basso, dal popolo laico insorto, si è levato lo slogan degli attivisti laici o religiosi moderati: "Lo Stato islamico non mi rappresenta". Una bestemmia per i combattenti integralisti che, in caso di processo di pace, qualcuno dovrà scacciare dal Paese. E dai suoi confini.

PERICOLO PER ANKARA - Dopo la resa di Azaz, il rischio maggiore per la Turchia - ha detto a Zaman il portavoce dell'Els ad Ankara, Khaled Khodja - è infatti che la filiale iraco-siriana di Al Qaeda "prenda il controllo anche del valico fra i due paesi di Oncupinar, sul lato turco (chiuso ieri da Ankara), e Bab al-Salameh, su quello siriano, a soli 5 chilometri dalla città. Il valico è per ora controllato dall' Els sul versante siriano. Se cadesse nelle mani del Siis, sarebbe ''un duro colpo'' non solo per l'Els e per i suoi approvvigionamenti in armi dal paese vicino, ma anche per la sicurezza della stessa Turchia dove oggi tutti i giornali registrano con crescente preoccupazione il nuovo sgradito vicino di casa. Chi accusava Recepp Tayyip Erdogan di scherzare del fuoco, appoggiando indistintamente i ribelli a Damasco, oggi può cantare una preoccupata vittoria.