Dallas, 17 novembre 2013 - UNA STACCIONATA di legno sopra una collinetta erbosa. La finestra al sesto piano del vecchio deposito di libri scolastici dello stato del Texas. Il sotterraneo di una stazione di polizia, la stanza delle emergenze numero uno del Parkland hospital. È qui che è andata in scena la fine di John Fitzgerald Kennedy, e i tragici eventi che ne sono seguiti.


Cinquant’anni dopo gli echi degli spari ancora risuonano a Delaney Square. E di sicuro non è andata come ci hanno raccontato. La scena del delitto, ancora oggi, parla. E ancora oggi parlano le immagini girate dal cineamatore Abraham Zapruder: 26 secondi, 486 fotogrammi che raccontano in super 8 il momento nel quale l’America ha perso la sua innocenza.


Visto dalla finestra dalla quale avrebbe sparato il presunto assassino Lee Oswald, sembra tutto dannatamente facile. L’ultima finestra a destra del penultimo piano del Texas Book Depository è affacciata su Delaney Square. Il ‘nido del cecchino’ era protetto alle spalle da una pila di scatoloni di libri ed era abbastanza alto da non mostrarsi a chi stava in piazza: solo all’ultimo momento sarebbe stato necessario far uscire la canna del fucile e fare fuoco. Non era certo un colpo impossibile.

IL PUNTO di Elm Street - la strada che taglia trasversalmente Delaney Square - nel quale JFK fu raggiunto dal primo dei colpi di fucile è a una sessantina di metri. Per un buon tiratore dotato di fucile con mirino di precisione c’era tutto il tempo per seguire il corteo presidenziale svoltare da da Huston Street, prendere con calma la mira e fare fuoco. Qui all’epoca lavorava Oswald, che era stato un tiratore scelto nei Marines e che aveva una fama, invero assai dubbia, di comunista filocubano con tanto di defezione verso l’Unione Sovietica prontamente rientrata (e dopo la quale aveva curiosamente ottenuto un posto di lavoro in una società che processava le segretissime foto raccolte dagli aerei spia U2). E Oswald è ufficialmente l’assassino.

MA LA VERITÀ ufficiale cozza con altre verità. Dei 277 testimoni identificati, 107 hanno espresso un’opinione sul punto di provenienza degli spari e ben 77 di loro hanno detto che almeno un colpo, se non due, sono stati sparati dal ‘grassy knoll’, un declivio erboso che tuttora si apre a piazza Delaney sulla destra del percorso del corteo presidenziale ed è riverito come un’icona da chi crede nel complotto. "Un colpo, l’ultimo — racconta ancora oggi Bill Newman, 72 anni, che con la moglie Gayle e i due figli piccoli si trovava lungo Elm street, a dieci metri dalla limousine di JFK — è sicuramente venuto dalle nostre spalle, dal grassy knoll. Ho visto l’impatto sulla testa del presidente, il suo cranio aprirsi. È stato orribile".
Altri, come James Tague, oggi 77 anni, che fu ferito al volto dalla scheggia di un colpo che mancò la limousine, vanno oltre: "Due colpi, il primo e l’ultimo, venivano da destra". Dal grassy knoll, da quella staccionata ancora esistente dalla quale l’allora ventiduenne soldato Goldon Arnold fu allontanato da un presunto agente del Secret Service (ma naturalmente nessun agente del Secret Service risultava in servizio in quella piazza).

QUELLA staccionata bianca a 30 metri dalla limousine, dietro la quale altri testimoni — Lee Bowers, Howard Brennan, Cheryl Mc Kinnon, Amos Evins, Sam Holland — negli attimi attorno al delitto videro due uomini e uno sbuffo di fumo o un bagliore. "Dalle ferite che ho visto — dice tuttora il dottor Robert Mc Lelland, 83 anni, uno dei medici che cercò di salvare Kennedy — non c’è dubbio che c’è stato un secondo sparatore".

E SE OLTRE che dalla finestra al sesto piano si sparò anche dal grassy knoll questo significa che fu complotto e non l’azione di un pazzo isolato. Resta la giunga di piste, ma anche la convinzione che complotto fu. E del resto, come non potrebbe visto quello che accadde a Lee Oswald il giorno dopo nel sotterraneo della ‘centrale’ della Dallas Police, ammazzato dal mafioso di mezza tacca Jack Ruby che, grazie alle sue aderenze tra i poliziotti locali, fu fatto entrare da una porta laterale e freddò Oswald con un colpo di revolver in diretta tv, facendolo tacere per sempre.


In questa storia dalle mille verità, con un boss (Carlos Marcello, intercettato nel 1987 dall’Fbi) e uno sparatore (James Files) rei confessi ai quali nessuno dà troppo credito, nella quale il mistero giova a tutti coloro che hanno panni sporchi, dieci verità significano nessuna verità e Dallas può continuare a coltivare il mito, che le macchiò l’immagine ma che oggi — tra museo al settimo piano dell’ex Book Repository, un fiorire di gadget e libri e turisti in arrivo per le ricche celebrazioni — è un mistero che frutta dollari. Siamo in America, dopotutto.